L’azionario emergente tenta la reazione nonostante il dollaro forte. Negli ultimi 3 mesi gli indici emergenti hanno saputo fare meglio di quelli azionari globali che investono sui soli Paesi sviluppati. E questa è una notizia di non poco conto vista la sottoperformance che da almeno 3 anni sta attanagliando questo importante tassello di asset allocation azionaria.
Se confrontiamo infatti due ETF celebri di iShares come Core Msci World e Core Emerging Market IMI scopriamo che nell’ultimo triennio le azioni emergenti sono rimaste inchiodate al palo mentre quelle appartenenti ai Paesi sviluppati hanno realizzato una performance del 36%.
Un pochino meglio sono andati quegli ETF come Amundi Emerging Market ex China che, come dice la descrizione, investono negli emergenti al netto della Cina. Negli ultimi 3 anni il guadagno è stato del 15%. Ancora meglio hanno fatto i mercati di frontiera, ovvero quelle Borse che non possono essere inserite negli indici emergenti in quanto troppo modeste come capitalizzazione e maturità finanziaria per far parte del gotha emergente con Cina, India e Brasile. L’ETF Xtrackers S&P Select Frontier ha realizzato negli ultimi 3 anni una performance esattamente pari alla metà di quella realizzata dai mercati sviluppati (+18%).
Se per questo ultimo ETF la volatilità è un fattore di cui tenere conto (15% quella annua) per gli altri ETF emergenti le oscillazioni dei rendimenti attorno ai valori medi sono simili a quelle fatte registrare dagli ETF globali (10-11%).
ETF Paesi emergenti: le cause dietro la ripresa e la minaccia-Trump
Come detto, è soprattutto negli ultimi 3 mesi che si è notata una certa ripresa degli indici emergenti, supportati dal mercato azionario cinese in recupero, ma anche dalla raggiunta stabilità dei tassi americani sui quali appare difficile pensare che possano salire ancora.
L’assenza di crisi finanziarie o di debito tra i Paesi appartenenti al blocco emergente come poteva accadere in passato di fronte a politiche monetarie restrittive da parte degli Stati Uniti, ha favorito la bassa volatilità con la ripresa che però passa inevitabilmente dalla Cina, assieme a India e Taiwan componente determinante degli indici emergenti.
I multipli dell’indice emergente rimangono invitanti. Con un rapporto prezzo utili di 15 e un rapporto prezzo valore di libro di 1,8 non siamo di fronte certamente a un mercato caro. Mercato che tra l’altro non ha partecipato alla festa della tecnologia degli ultimi tempi pur vantando un quarto dell’esposizione al settore tech.
Ma come detto è l’incertezza di nome Cina (22% di peso geografico) e Taiwan (19%) a frenare una performance che potrebbe essere la sorpresa dei prossimi anni se la politica monetaria della FED si farà più distensiva.
Sullo sfondo però le elezioni presidenziali con il possibile ritorno di Trump che significherebbe dazi proprio verso i Paesi a più basso costo. Un’incertezza che inevitabilmente crea le premesse per una diversificazione geografica più spinta anche tra gli stessi emergenti proprio per evitare di legarsi ad un unico prodotto generalista.