L’eterno confronto tra un investimento in azionario globale in versione tradizionale senza filtri di sostenibilità e lo stesso investimento ma che investe seguendo delle linee ben precise di selezione legate ai criteri ESG, è un qualcosa che ogni tanto ritorna a fare capolino.
Ovviamente si spacca il partito della sostenibilità contro quello dell’efficienza del mercato a tutti i costi, ma come stanno andando realmente due ETF di Vanguard dal momento in cui la versione ESG è approdata sul mercato, ovvero dal 2021?
I due ETF che ho messo a confronto sono Vanguard Ftse All World e Vanguard ESG Global All Cap. Entrambe gli strumenti coprono i mercati sviluppati ed emergenti con il secondo che ha titoli filtrati come dice il KID “si parte dal FTSE Global All Cap Index che viene poi analizzato alla luce di determinati criteri ambientali, sociali e di governance (ossia correlati a controversie) indipendenti da Vanguard”.
Non lo ripeterò qui in forma integrale ma leggendo il KID si notano alcuni criteri di esclusione interessanti e originali. L’indice esclude ad esempio società coinvolte o impegnate in attività che generano ricavi da prodotti non etici (ad es. intrattenimento per adulti, alcol, gioco d'azzardo, tabacco, cannabis), energia non rinnovabile (energia nucleare e combustibili fossili), produzione di carbone, estrazione di petrolio e gas dell'Artico, armi.
ETF globale tradizione o ESG? Chi vince?
Ma numericamente in cosa si traduce questa esclusione quanto a numero di società non presenti nel paniere principale? Se prendiamo il Ftse Global All Cap Index sono circa 10 mila le società presenti che, nella versione di ETF quotata in sterline, diventano dopo il campionamento circa 7000. Purtroppo, non abbiamo un corrispondente ETF quotato in Italia. Andando invece sul classico Vanguard All World quotato in Italia (che non contiene però mid e small cap come l’indice precedente Global All Cap), le partecipazioni si riducono a 3600 circa anche se il benchmark conterrebbe oltre 4200 società.
La versione ESG di Vanguard contiene al suo interno oltre 5000 società campionate su un indice originario di oltre 8200 aziende quotate. Possiamo perciò quantificare in circa il 20% in meno il numero delle aziende presenti nell’indice ESG.
Come detto, stiamo confrontando due indici differenti, anche dal punto di vista della diversificazione. Ma dal lancio della versione ESG la versione tradizionale vince di 7 punti percentuali con una volatilità leggermente inferiore. Uno scarto importante.
Può essere utile osservare la composizione settoriale a questo punto. Per la variante ESG dell’ETF la tecnologia domina con il 31% seguita da finanziari al 17% e consumi discrezionali al 16%. Energia, utilities e risorse di base insieme non arrivano al 4%.
L’ETF globale senza filtri ESG vede più o meno lo stesso dominio per i primi tre settori con circa 2 punti percentuali in meno di peso, ma i tre settori in coda nominati prima “cubano” per circa il 10%. La principale differenza come era ovvio sta qui, oltre all’assenza di società impegnate nella difesa che tanto bene hanno fatto negli ultimi tempi. Ed ecco spiegato perché la versione ESG privata di queste componenti sta sottoperformando da oltre 4 anni emettendo una sentenza parziale, prematura e incompleta. Ma al momento perdente.