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ETF: cosa succede quando viene delistato?

12 dic 2021 - 09:00

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Cosa succede quando un ETF viene rimosso dal listino? In questo articolo cerchiamo di capire come evitare questo spiacevole inconveniente

Di ETF si sente spesso parlare in termini positivi. Costi bassi, assenza di gestione attiva e quindi di rischi di sottoperformance del benchmark, massima trasparenza, facilità di negoziazione. Naturalmente non è tutto oro quello che luccica e osservando la sezione di Borsa Italiana – ETF Corporate Action si noteranno tante liquidazioni e delisting di questo tipo di strumenti negli ultimi mesi.

I motivi sono diversi ed in questo articolo cercherò di illustrarli nel modo più esaustivo possibile. Il numero degli ETF in circolazione a livello globale è enorme. Solo su Borsa Italiana stiamo parlando di oltre 1.100 strumenti in costante aumento. Naturale che ad un allargamento dell’offerta corrisponda una naturale rimozione di strumenti non più redditizi. Nel 2019 in USA ad esempio, per 200 ETF emessi nel periodo 2017-2019 ben 150 furono chiusi.

 

ETF: ecco perché vengono delistati

Ma quali sono le ragioni che stanno alla base della liquidazione? Il motivo principale è l’assenza di interesse da parte degli investitori. Gli emittenti propongono costantemente nuove idee anche per ragioni di marketing, ma come succede in altre industrie non tutte trovano il gradimento del pubblico. E quando un ETF ha poche masse gestite, i costi fissi incidono sullo strumento e sulla sua capacità di svolgere il lavoro per il quale è nato, replicare perfettamente un benchmark.

I motivi che stanno alla base dello scarso gradimento per un ETF possono essere diversi. Eccessiva concorrenza, troppa complessità del sottostante, rendimenti non in linea con le aspettative, tema troppo di nicchia. Quando i costi non coprono i ricavi incassati con le commissioni di gestione dal gestore, l’ETF viene chiuso e delistato.

Lavorando con margini di redditività molto bassi è chiaro che le masse devono crescere continuamente per mantenere in vita un prodotto a meno che la società non decida di utilizzarlo come mero strumento di marketing all’interno di una ricca vetrina di offerta.

Un altro motivo che crea le premesse per liquidazioni di ETF è quello delle operazioni straordinarie tra gestori. La recente aggregazione Amundi – Lyxor ha inevitabilmente creato le premesse per eliminare una fetta di strumenti clone l’uno dell’altro, oppure semplicemente per fare pulizia di strumenti inefficienti.

Fino a qui l’investitore potrebbe anche essere indifferente a questa cosa se non che il processo di liquidazione lo coinvolge direttamente nel portafoglio. Se ciò accade quando l’ETF è in perdita, tale operazione causa lo spiacevole effetto collaterale di una capitalizzazione dell’esito negativo dell’investimento che rimane in vita come minusvalenza per 4 anni solo all’interno dello zainetto fiscale. In questo caso l’orizzonte temporale di lungo periodo viene così distrutto da un evento non controllabile e prevedibile a priori dall’investitore.

Se l’ETF è in guadagno tutto sommato l’investitore non perde nulla se non che la liquidazione forzata dello strumento in utile fa sì che l’erario italiano corra subito a battere cassa. Quindi la chiusura dello strumento in utile sancisce anche l’addebito del capital gain riducendo l’effetto benigno della capitalizzazione composta degli interessi sullo strumento investito con orizzonte di lungo periodo.

Solitamente l’investitore riceve dall’intermediario una comunicazione della liquidazione dell’ETF con la data ultima di contrattazione dello stesso sul mercato. Viene lasciata la facoltà al possessore di scegliere fino ad una certa data il momento nel quale disporre del proprio capitale. Il vantaggio è quello di avere tempi certi di accredito del saldo della vendita sul conto corrente. Lo svantaggio è che la vendita avviene ad un prezzo di mercato che per un ETF in liquidazione non è sempre il più efficiente, mentre il rimborso avverrà al valore di NAV.

 

Delisting ETF: ecco come difendersi

Esistono delle contromisure che possiamo prendere per evitare di trovarci più avanti nel tempo con un ETF in procinto di essere liquidato? Certamente acquistare un prodotto con strutture semplice e masse importanti (diciamo sopra i 100 milioni di euro) può essere un primo criterio di selezione.

Evitare prodotti troppo di nicchia o modaioli può essere un secondo punto di attenzione non tanto per il trader, quanto per chi investe con un orizzonte di decine di anni. Osservare il volume giornaliero di trading di un ETF può essere infine un’altra pratica utile per evitare l’evento. Poche ma semplici accortezze che possono però evitare noiose scocciature all’interno del nostro piano di investimento.

 

 

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