Abbiamo oggi una postazione privilegiata per capire quanto ha reso l’investimento azionario giapponese all’investitore europeo, ma anche per capire l’importanza dei dividendi e della funzione di “accumulazione” insita all’interno degli ETF che non distribuiscono dividendi. Flussi di cassa che poi regolarmente si disperdono nel mare dei vari conti correnti e quasi mai reinvestiti dal piccolo risparmiatore.
Giappone: cosa ci dice la storia
Lezione che purtroppo questo ETF non ha potuto dare trattandosi di un prodotto proprio a distribuzione dei dividendi, ma possiamo calcolare la sua performance se questo fosse accaduto. iShares MSCI Japan è un ETF che è stato lanciato nel 2004 sul mercato europeo e ad ottobre spegnerà le 20 candeline. Come ci racconta MSCI, questo indice è composto da poco più di 200 società che rappresentano l’85% della capitalizzazione borsistica nipponica.
Le prime 10 società coprono circa un quarto del paniere e sono capeggiate da quella Toyota che assieme ad altre realtà, magari non così conosciute in Italia, costituiscono quel 23% di peso del settore industriale che mette l’indice tra quelli a maggiore contenuto value del mondo. Seguono i consumi discrezionali (20%) e la tecnologia (15%).
La performance degli ultimi 20 anni dell’ETF di iShares è del 165%, con tutto ciò che supera il 100% accumulato da ottobre 2022 in avanti quando il rally dei listini giapponesi ha finalmente riportato il mercato al di sopra dei massimi storici dei lontani anni 90.
La sorpresa però arriva escludendo i pur magri dividendi che, in quasi 20 anni, hanno rappresentato una fetta importante della performance. Al netto dei dividendi, infatti, iShares MSCI Japan risulterebbe in crescita del 107%.
Questo risultato è stato ottenuto nonostante la debolezza della valuta nazionale giapponese, lo yen. Se pensiamo che il rapporto EurJpy nel 2004 stazionava attorno a 130 e oggi siamo sopra a 160, un abbondante 20% di svalutazione ha inciso sul risultato finale comunque positivo.
ETF: ecco come è andata alla soluzione ex-Japan
Sempre dal catalogo storico di iShares scopriamo che l’anno successivo venne lanciato un altro ETF che aveva nella sua descrizione le parole ex Japan. Il suo bacino di investimento era quello asiatico e il suo nome era proprio MSCI AC Far East ex Japan.
I risultati parlano chiaro. Dal 2005 +112% per l’ETF sul Giappone e +218% per quello sul lontano Oriente senza il Giappone. Una zavorra la cui esclusione ha evidentemente portato bene.
Un indice quello del Far East che però completerebbe molto bene una ideale allocazione geografica del continente visto che gli industriali sono praticamente inesistenti (circa il 6%), mentre tecnologia e finanziari la fanno da padrona con rispettivamente il 28% e il 24%. Cina, Taiwan e Corea del Sud si prendono complessivamente i tre quarti della torta.
Il Giappone, quindi, compie 20 anni almeno per i primi investitori europei che hanno dato fiducia ad un ETF che senza il contributo importante dei dividendi sarebbe a malapena riuscito a raddoppiare il suo valore in due decadi.