In un capitolo tanto inatteso quanto significativo della saga tecnologica globale, Nvidia ha annunciato di aver ricevuto il benestare dall’amministrazione Trump per riprendere le esportazioni verso la Cina del suo chip per l’intelligenza artificiale H20.
Una notizia che suona come una tregua strategica, quasi una distensione, nel cuore della guerra fredda tecnologica tra Washington e Pechino, e che promette di rimodellare gli equilibri di potere nel settore più critico dell’economia digitale.
La decisione segna una netta inversione di rotta rispetto alle rigide restrizioni imposte da Washington solo pochi mesi fa. Lo scorso aprile, un inasprimento dei controlli sull'export di semiconduttori avanzati aveva di fatto bandito le vendite dell’H20, un processore che la stessa Nvidia aveva astutamente progettato per essere conforme a una versione precedente e meno severa delle normative statunitensi. Il colpo per il colosso di Santa Clara è stato durissimo, culminato in una svalutazione da 4,5 miliardi di dollari iscritta a bilancio nel primo trimestre.
Le azioni Nvidia nel pre-mercato di Wall Street segnano un rialzo del 4,85%.
La diplomazia di Huang: via libera ai chip AI destinati a Pechino
Il via libera attuale non è frutto del caso, ma il risultato di un'intensa e sofisticata opera di lobbying condotta ai massimi livelli. Nvidia ha messo in guardia l'amministrazione americana su un rischio tanto concreto quanto paradossale: strangolando le proprie aziende di punta, l'America rischiava di cedere la leadership nell'intelligenza artificiale a concorrenti cinesi, primo fra tutti il gigante Huawei.
"Crediamo che ogni modello di intelligenza artificiale civile debba funzionare al meglio sullo stack tecnologico statunitense, incoraggiando le nazioni di tutto il mondo a scegliere l'America", ha dichiarato con abilità diplomatica il CEO di Nvidia, Jensen Huang.
E proprio Huang è emerso come il protagonista assoluto di questa complessa partita. Assumendo un ruolo che trascende quello del semplice manager per diventare figura quasi diplomatica, il CEO si è recato a Pechino per incontrare funzionari governativi e rassicurare i clienti cinesi sulle future strategie.
Il viaggio segue un incontro cruciale tra lo stesso Huang e il Presidente Trump, durante il quale si è discusso dell'impegno di Nvidia a investire nella produzione manifatturiera statunitense. Fonti vicine al dossier parlano di un tentativo di dialogo anche con il Premier Li Qiang, un interlocutore che segnerebbe il più alto livello di contatto mai raggiunto da Huang.
Nvidia: non solo H20, pronti nuovi processori per il mercato cinese
Ma la strategia cinese di Nvidia non si ferma al recupero dell'H20. L'azienda ha infatti annunciato il lancio di una nuova GPU (Graphic Processing Unit) per il mercato del gaming, anch'essa progettata per rispettare i controlli sull'export. Si tratta di una mossa calcolata: i chip da gioco di Nvidia, come il nuovo modello basato sul potente processore Blackwell RTX Pro 6000, sono diventati un'alternativa sempre più popolare per gli sviluppatori cinesi per far girare piccoli modelli di AI, data la difficoltà di acquistare i chip dedicati.
Nonostante l'H20 sia meno performante rispetto alle GPU di punta di Nvidia, la sua domanda in Cina è rimasta eccezionalmente alta. Il motivo risiede nella superiorità schiacciante dell'ecosistema software di Nvidia (CUDA), che semplifica enormemente l'addestramento e l'esecuzione dei modelli di intelligenza artificiale.
Sebbene Pechino stia spingendo con forza per l'adozione di chip locali prodotti da rivali come Huawei, Cambricon e Biren, la soluzione di Nvidia rimane la preferita per prestazioni e facilità d'uso. La decisione di Washington rappresenta, in conclusione, un pragmatico riconoscimento di questa realtà: in un mondo interconnesso, mantenere la supremazia tecnologica richiede non solo barriere, ma anche ponti strategicamente costruiti.