Da quando nella sua ultima riunione la
Federal Reserve ha fatto capire che la serie di rialzi dei tassi potrebbe essere messa in pausa, una delle domande più ricorrenti che si pongono investitori e analisti è:
e se fosse troppo presto? Intanto bisogna intendersi sui termini: troppo presto per cosa? La Fed ha detto che avrebbe interrotto le strette iniziate a marzo del 2022 per combattere l'inflazione più aggressiva degli ultimi 40 anni: se il break sarà temporaneo o meno dipenderà da vari fattori, che vanno dai dati macroeconomici alle turbolenze del settore bancario.
Il mercato, si sa, tende ad anticipare, e sta quindi iniziando a scommettere su quando la Banca centrale statunitense invertirà la sua politica monetaria e comincerà a tagliare i tassi. A giudicare dal rally azionario di quest'anno, gli operatori stanno scontando che il cambio di rotta arriverà proprio nel 2023, magari già prima della fine del terzo trimestre.
Gli ultimi dati sull'inflazione hanno riportato un raffreddamento, con l'indice dei prezzi al consumo del mese di aprile che si è attestato al 4,9%. Tuttavia, il livello è ancora lontano dall'obiettivo del 2% dell'istituto centrale e, con il mercato del lavoro molto forte, il carovita potrebbe rialzare la testa.
Ecco cosa successe negli anni '60
Per capire cosa può succedere se la Fed dovesse tagliare i tassi anzitempo, vale la pena di fare un tuffo nel passato e vedere cosa è successo nel 1967, quando si configurò una situazione simile a quella di oggi. Allora gli Stati Uniti venivano da un triennio di espansione fiscale e di grande spesa pubblica per sostenere la guerra nel Vietnam, il che portò a una crescita del Paese del 6%. L'inflazione era di conseguenza in costante aumento, allontanandosi dall'obiettivo fatidico del 2%.
La Fed optò quindi per una stretta creditizia rallentando la crescita al 2,7%, senza quindi portare l'economia in recessione. Il costo della vita si era abbassato, ma manteneva un livello superiore al tetto del 2%. Alla fine del 1966, l'autorità allora guidata William McChesney Martin decise di tagliare il costo del denaro. Nel 1967 l'S&P 500 salì del 20%, con l'economia in ripresa.
Lo stato di grazia però durò poco, perché l'anno successivo l'economia si stava nuovamente surriscaldando e nel 1969 l'inflazione aveva superato quota 6%. La Fed fu costretta a correre ai ripari spingendo i Fed Funds al 9%, il doppio rispetto al livello del 1967. Alla fine del decennio gli Stati Uniti finirono in recessione, ma quei germogli inflazionistici costituirono poi la base per oltre dieci anni da incubo segnati dall'arrivo degli shock petroliferi.
Cosa si può imparare dal passato
Cosa ci insegna quanto successe oltre 50 anni fa? Secondo Joseph H. Davis, capo economista globale e responsabile globale dell'Investment Strategy Group di Vanguard, si possono trarre tre lezioni. La prima è che i tassi d'interesse devono essere tenuti al di sopra del tasso d'inflazione per almeno un anno, per evitare risvegli pericolosi del carovita. In particolare quando il mercato del lavoro è ristretto e il rischio di pressioni salariali è elevato.
La seconda lezione consiste nel fatto che il tasso neutrale - ossia quello al quale la politica monetaria non stimola e non limita l'economia - probabilmente è più alto di quello che si pensa. Allora fu stabilito che il livello fosse del 4%, ma in realtà superava il 6%. Oggi la Fed ha individuato il tasso neutrale al 2,5%, però per Vanguard probabilmente è superiore di almeno un punto percentuale.
La terza lezione è che l'equilibrio del mercato del lavoro è la chiave di tutto. Questo avviene quando il rapporto tra le offerte di lavoro e il numero dei disoccupati è pari a 1. All'inizio del 2023 tale rapporto era pari a 2, esattamente come nel 1967, il che suggerisce uno scenario che sosterrà un'inflazione salariale ancora ostica.