Gli investitori stanno vendendo le azioni delle banche europee. Nell'ultimo mese, l'indice Stoxx 600 Banks ha perso circa il 4% del suo valore e in questa settimana il sell-off si è intensificato dopo la pubblicazione delle trimestrali di alcuni importanti istituti di credito del Vecchio Continente.
La più grande banca dell'Eurozona, BNP Paribas, ha deluso le aspettative sul fronte delle attività di finanziamento e dei crediti al consumo, pagando dazio a tassi d'interesse troppo elevati. Standard Chartered è crollata alla Borsa di Londra dopo aver mostrato perdite nel business immobiliare e creditizio in Cina.
Quanto risulta dalle trimestrali riflette il fatto che alla fine dei conti
il settore bancario non è stato troppo avvantaggiato dalla politica estremamente austera da parte della
Banca centrale europea. Il vantaggio generato da una maggiore redditività netta sugli interessi viene in buona parte compensato dal calo del business su altri fronti, come quello dei mutui e finanziamenti. Ciò è ancora più vero se si rapporta tutto a un'inflazione che sta limitando i consumi e di conseguenza da un'economia in rallentamento.
Banche europee: la BCE in soccorso
La riunione di ieri della BCE ha dato un po' di sollievo ai titoli delle banche. Quantomeno le azioni delle aziende di credito hanno limitato le perdite dopo la pubblicazione delle decisioni della Banca centrale e la conferenza stampa del governatore
Christine Lagarde.
Dopo 10 rialzi consecutivi, l'Eurotower ha deciso per una pausa sui tassi d'interesse. La mossa era attesa dal mercato, ma alcuni vedono il segnale di raggiungimento del picco. Lagarde ha ribadito che l'inflazione è ancora elevata e ci sarà del lavoro da fare per riportarla all'obiettivo del 2%. Inoltre, ha sottolineato come le strette in serie attuate finora inevitabilmente porteranno l'economia dell'Area Euro a una flessione, ma ha previsto una ripresa nel 2024.
Il quadro dipinto dalla Banca centrale è stato percepito in modo più favorevole per le banche. In realtà, un ambiente di tassi elevati non è più il migliore scenario possibile per gli istituti finanziari, almeno per due ragioni.
La prima è che le banche non possono trasferire più i rialzi del costo del denaro ai tassi su mutui e prestiti con maggiore velocità e intensità rispetto ai tassi sui depositi come facevano fino a poco tempo fa. Il motivo è che i risparmiatori ritirano il loro denaro dai depositi alla ricerca di rendimenti più allettanti. Quindi, le aziende di credito devono alzare i ritorni sui depositi per trattenere i clienti. Ciò andrà a impattare sulla redditività netta da interessi.
La seconda ragione per cui sono preferibili tassi più bassi sul mercato sta in quello che si sta vedendo nelle trimestrali, ovvero la perdita di valore con tassi elevati di alcune aree di business chiave come i prestiti e i finanziamenti, oltre all'investment banking.
Alcune note positive
Non tutto è negativo però. Ci sono alcune note liete rappresentate da banche come le italiane
UniCredit e Mediobanca e la spagnola
Banco Sabadell: la seconda banca italiana ha registrato un balzo del 45% del margine netto di interesse e alzato la guidance su utili e ricavi, Mediobanca si è resa protagonista dell'utile trimestrale migliore di sempre e l'istituto spagnolo ha alzato le previsioni sulla crescita del margine di interesse nel 2023.
Da segnalare per quanto riguardo il giardino di casa nostra che la minaccia della
tassa sugli extraprofitti imposta dal governo Meloni per il 2024 sembra non colpire più di tanto le banche italiane. La scappatoia offerta dall'esecutivo di destinare a riserva un importo pari a 2,5 volte la tassa ha fatto propendere i maggiori istituti di credito, UniCredit e
Intesa Sanpaolo, per
rafforzare le riserve e non pagare l'imposta. L'impressione è che una buona parte di tutte le altre banche potrebbe seguire l'esempio, svuotando di fatto l'ipotetico incasso per l'Erario.