La nuova ondata di acquisti sulle azioni in questi ultimi giorni ha rinnovato e rafforzato le ipotesi di un cosiddetto rally di Babbo Natale. Le Borse statunitensi ed europee hanno contato le perdite a settembre e ottobre, sulla prospettiva che i tassi d'interesse nelle due sponde dell'Atlantico rimarranno alti per lungo tempo. La crisi geopolitica determinata dalla guerra scoppiata tra Hamas e Israele, dopo l'assalto del 7 ottobre da parte del gruppo terrorista palestinese a Tel Aviv, ha reso più fosco il quadro generale. Soprattutto in Europa, gli investitori temono che un'escalation del conflitto possa far ripiombare il Vecchio Continente in una nuova crisi energetica della portata di quella vissuta lo scorso anno dopo l'invasione russa in Ucraina.
Le ultime riunioni di
BCE e
Fed hanno però rallegrato gli investitori, in quanto dai messaggi delle due Banche centrali è risultato che probabilmente
i tassi d'interesse non saranno più aumentati e la politica monetaria sarà rapportata allo stato di salute dell'economia. Nel frattempo, a Gaza, dove si sta consumando la guerra tra Hamas e Israele, per ora non ci sono segnali di evidente inasprimento che conduce a un allargamento del conflitto bellico e la liberazione di alcuni ostaggi da parte dei terroristi potrebbe essere un primo passo verso il disgelo.
Azioni: ecco perché non bisogna fidarsi del rally
Il rally attuale però non deve illudere. È quanto risulta dalle parole di Salman Ahmed, responsabile globale dell'asset allocation macro e strategica di Fidelity International. "Non crediamo a questo rally", ha detto. "Fondamentalmente non è cambiato nulla. Continuiamo quindi a pensare che ci attendono altri problemi in futuro, man mano che questo profilo di tassi più alti si farà sentire e inizierà ad incidere sull'economia reale".
Ahmed non è d'accordo sull'interpretazione "dovish" che il mercato ha dato all'ultima riunione della Federal Reserve: "se si guarda al discorso del presidente Powell, si nota che c'era un orientamento da falco", ha detto Ahmed.
Tuttavia, le preoccupazioni dello strategist di Fidelity potrebbero essere in contrasto con le intenzioni reali della Fed, dopo gli ultimi dati sull'occupazione americana di venerdì scorso che hanno fatto accelerare Wall Street. I nuovi posti di lavoro creati negli Stati Uniti sono stati appena 150 mila unità, a fronte di 180 mila attesi dal mercato, ed il tasso di disoccupazione è salito al 3,9%, oltre il 3,8% stimato dal consensus.
Questi potrebbero essere i primi effetti sull'economia e sul mercato del lavoro della politica fortemente restrittiva tenuta dalla Fed per oltre un anno e mezzo. Di conseguenza, l'autorità centrale potrebbe ammorbidire la sua politica monetaria da qui in avanti per tener conto del nuovo corso dell'economia. Almeno questo è ciò che si aspetta il mercato, che ormai per paradosso vede una brutta notizia sull'economia USA come una buona notizia, proprio in prospettiva della politica della Fed.