USA e Cina continuano a darsele di santa ragione. Sebbene di tanto in tanto si abbozzano schiarite in un contesto di rapporti sempre più cupi, i nervi tra le due superpotenze sono tesi come le corde di un violino. La cosa purtroppo non è fine a se stessa, perché si riverbera in maniera significativa non solo negli equilibri geopolitici internazionali, ma anche nei mercati finanziari già logorati da una pandemia che non allenta la presa. E oggi ci stanno delle micce che una volta azionate potrebbero avere degli effetti deflagratori sui mercati. Vediamo quali sono.
TikTok e WeChat: una sfida nel segno della tecnologia
L'ordine del 6 agosto con cui Donald Trump minaccia di mettere al bando le popolarissime app cinesi, WeChat e TikTok, ha sollevato un vespaio: o queste diventeranno americane oppure non possono più circolare negli Stati Uniti. A quel punto si è attuata una corsa contro il tempo per accaparrarsi quantomeno la piattaforma di ByteDance molto utilizzata tra gli adolescenti. Nella partita sono entrati colossi americani come Microsoft, Twitter, Walmart e Oracle. Il pomo della discordia con ByteDance è determinato però dalla proprietà della tecnologia. I cinesi vorrebbero custodirla in casa propria, ma hanno incontrato il no way assoluto di Trump. Venerdì scorso il Presidente USA ha tuonato dichiarando che ormai le app sono off-side in America, ma nella giornata di ieri il tycoon ha dato la sua benedizione per la cessione a Oracle e Walmart. L'accordo dovrebbe concludersi entro il 27 settembre, nuova deadline stabilita da una sentenza del giudice di San Francisco Laurel Beeler, che ha rinviato con un’ingiunzione il termine per il blocco di TikTok sugli app store americani. Secondo la nuova intesa a ByteDance rimane l'80% della proprietà azionaria, nonché degli algoritmi e delle tecnologie. Oracle entrerà nel capitale azionario con il 12,5% delle quote e soprattutto avrà il controllo di sicurezza sul codice sorgente di TikTok negli USA; Walmart parteciperà con il 7,5% delle azioni.
Dazi: la guerra commerciale che peserà sul PIL
L'accordo di Fase 1 firmato tra Donald Trump e Xi Jinping il 15 gennaio 2015 ha sancito una tregua commerciale di una guerra sui dazi cominciata nel 2018 e che nel 2019 ha raggiunto il suo culmine. L'anno scorso infatti quasi 500 miliardi di dollari di scambi commerciali sono stati congelati tra le due superpotenze. Oggi la minaccia che tutto possa saltare è sempre presente, in quanto dagli USA piovono costantemente accuse di pratiche sleali da parte delle aziende commerciali cinesi. Secondo alcune stime, qualora dovesse perseverare una guerra commerciale, il PIL degli Stati Uniti potrebbe ridursi dello 0,6%, esattamente come quello mondiale; mentre la crescita cinese sarebbe arrestata dell'1%.
Huawei: una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti
Il gigante del 5G rappresenterebbe un serio pericolo per la sicurezza nazionale. Questa la convinzione da parte dei principali esponenti governativi degli Stati Uniti. Le attrezzature utilizzate da Huawei penetrerebbero le reti di comunicazione rendendole esposte ad operazioni di spionaggio. Per questa ragione da Washington è arrivata una pressione estrema verso gli altri Paesi per stare lontani dal 5G progettato dall'azienda cinese. Nel frattempo è stato negato a Huawei l'accesso alla tecnologia statunitense. La risposta dalla Cina non si è fatta attendere: gli Stati Uniti starebbero cercando in tutti i modi di annientare le società cinesi che si stanno sviluppando sempre di più e per questo Pechino reagirebbe in maniera energica.
Spionaggio e furto dei dati: il culmine della guerra fredda
Secondo la Casa Bianca negli Stati Uniti gravitano alcuni studiosi cinesi che hanno lo scopo di fare da trade d'unione con il Partito Comunista cinese per fornirgli dati top secret che riguardano la proprietà intellettuale e segreti commerciali e militari. Tutto questo verrebbe perpetrato attraverso attacchi informatici e minacce alle famiglie dei cinesi che si sono impiantati in America. In ragione di ciò è stato chiuso il Consolato cinese a Houston. Il Dragone ha risposto chiedendo agli USA la chiusura del Consolato americano nella città di Chengdu. Queste frizioni hanno spinto il Governo americano a minacciare la sospensione dell'ingresso negli USA di migliaia di studenti e ricercatori cinesi che potrebbero essere in contatto con le Autorità militari e governative dell'ex Impero Celeste.
Hong Kong: uno status speciale revocato
Le proteste di piazza che hanno messo a ferro e fuoco la città in nome della democrazia, sono state messe in secondo piano solamente dalla ferocia della pandemia che ha occupato le cronache dei giornali. Alla fine del mese di giugno però il Governo cinese ha varato una nuova legge sulla sicurezza nazionale che prevede delle reprimende notevoli per i facinorosi. Questo ha incitato l'Amministrazione USA a rimuovere lo status commerciale speciale di cui godeva Hong Kong dal 1997, quando passò sotto il controllo di Pechino. In particolare Washington ha imposto delle penalità per 11 funzionari cinesi e ha intimidito tutte le multinazionali americane con pesanti sanzioni qualora facessero affari con tali soggetti. Dal canto suo Pechino ha affermato di rendere pan per focaccia punendo 11 americani, tra cui esponenti del Congresso.
Xinjiang: a rischio la violazione dei diritti umani
Nella Regione occidentale dello Xinjiang avverrebbero delle cose inenarrabili, a giudizio del Governo degli Stati Uniti. I diritti umani sarebbero calpestati dallo sfruttamento dei lavoratori, dai maltrattamenti e dalle riduzioni in schiavitù degni dei campi di concentramento nazisti. Di conseguenza gli USA hanno inserito alcune società tecnologiche cinesi in black list, impedendo alle società statunitensi di importare i prodotti che vengono fabbricati in quelle zone. Inoltre il Dipartimento del Tesoro americano ha limitato i viaggi negli Stati uniti di quattro funzionari cinesi legati allo Xinjiang ricevendo la pronta ritorsione da parte del Governo cinese che ha sanzionato alcuni funzionari e senatori a stelle e strisce.
I media cinesi: al servizio del Partito Comunista
Donald Trump ha adottato misure drastiche con lo scopo di limitare il campo di operatività di alcuni giornalisti cinesi accusati di fare informazione orientata a favorire l'autoritarismo di Pechino. In Cina invece alcuni inviati americani dei New York Times, Wall Street Journal e Washington post sono stati allontanati dal Paese con l'accusa di effettuare disinformazione per colpire l'Amministrazione cinese.
Borse: delisting per le società cinesi?
Il problema nasce da una legge cinese che vieta ad alcune società del Paese, anche se quotate, di condividere documenti importanti perché potrebbero contenere segreti di Stato. Da tempo però i regolatori americani chiedono la possibilità di accesso per revisionare le carte. Una svolta si è avuta il 6 agosto con la richiesta ufficiale a tutte le Borse mondiali di imporre nuove regole a tutte le società quotate, in modo da a tutti di poter vedere la documentazione. Se la situazione dovesse avere un seguito si potrebbe arrivare a soluzioni estreme come il delisting da Wall Street di società importanti come Alibaba. Al Congresso è stato presentato un disegno di legge che richiede alla società quotate di certificare che la gestione interna non sia effettuata da parte di un Governo straniero.
Coronavirus: cosa c'è dietro l'epidemia?
L'origine del Cov-Sars 2 è ancora misconosciuta. Le accuse ripetute piombate da Washington in questi mesi hanno spaziato da un virus provocato ad arte alla gestione pessima dell'informazione da parte delle Autorità cinesi. La situazione ha rischiato di degenerare quando esponenti illustri del Dipartimento americano avevano fatto trapelare indiscrezioni circa la possibilità che ci fosse stato dolo da parte della Cina circa la diffusione del virus. E a luglio Trump ha dichiarato che l'America sarebbe uscita dall'OMS, chiaramente influenzata, a suo dire, dalla preponderante presenza cinese.
Viaggi ristretti: vige la paura di maltrattamenti
Nel mese di luglio l'Ambasciata americana a Pechino ha lanciato un alert ai cittadini statunitensi che viaggiano in Cina e che potrebbero essere oggetto di arresti arbitrari. Per effetto di questo è stato sconsigliato agli americani di recarsi in Cina se non per strette necessità legate soprattutto al lavoro. L'anno scorso però era stata la Cina ad aver chiesto ai dipendenti degli enti pubblici di evitare per quanto possibile sortite negli Stati Uniti. Inoltre, dopo l'avvento del Coronavirus, il Ministero del Turismo di Pechino ha esposto un appello manifestando il totale disappunto per come i turisti cinesi sono stati trattati in USA riguardo le misure di prevenzione esagerate per il Covid-19.
Mar Cinese Meridionale: bomba pronta a scoppiare
Gli Stati Uniti fino ad ora hanno sempre mostrato una certa distanza dalle posizioni di intervento nelle acque del Mar Cinese Meridionale, dove la Cina da tempo prova a rivendicare territori nei vicini Vietnam, Filippine e Malesia. Da moltissimi anni però gli USA esercitano la loro presenza con navi e aerei da guerra come per rivendicare la libertà di occupare lo spazio internazionale. Ora la presa di posizione di Trump è ancora più severa, con le accuse alla Cina di voler affermarsi in maniera illegale su quei territori. Ad agosto la situazione ha rischiato di esplodere quando Pechino ha lanciato quattro missili balistici nelle acque del Mar Cinese Meridionale durante un'esercitazione militare. Gli USA hanno risposto con restrizioni alle società commerciali che fanno affari in quei territori.
Taiwan: un'isola oggetto di scontro militare
La battaglia americana per sostenere l'isola di Taiwan dal punto di vista militare trova la strenua opposizione da parte del Dragone che vuole impedire con tutte le forze la vendita di armi statunitensi nel territorio. Recentemente la Cina ha minacciato di sanzionare la Lockheed Martin Corp., l'impresa statunitense attiva nei settori dell'ingegneria aerospaziale e della difesa che è l'appaltatore principale nella fornitura di armi. L'obiettivo di Pechino è quello di riunire l'isola con la terraferma e questa è una cosa che non va giù alle alte autorità americane. Durante l'ultima visita di un alto diplomatico della Casa Bianca, avvenuta nel mese di settembre, gli aerei da guerra cinesi hanno violato ripetutamente lo spazio che separa la terraferma dall'isola, portando alle stelle la tensione tra le due diplomazie.
Tibet: il nodo del diritto di autodeterminazione
Lo status della Regione tibetana che fa parte della Cina non è mai stato digerito da parte degli Stati Uniti. Le due superpotenze si sono scambiate "cortesie" imponendo restrizioni di viaggio a funzionari e rappresentanti del Governo della sponda opposta. Il motivo parte dalle ingerenze che secondo le Autorità di Pechino il Governo americano avrebbe sul territorio. Ad infiammare gli animi è stata una risoluzione di qualche anno fa del Senato USA dove veniva riconosciuto al popolo tibetano il diritto di autodeterminazione, proteggendo la loro identità religiosa, culturale, linguistica e nazionale. L'atto ha rappresentato un guanto di sfida che Pechino difficilmente poteva ignorare e oggi la situazione rimane sempre in bilico, pronta a naufragare da un momento all'altro.