La tempesta abbattutasi recentemente sui mercati finanziari a causa della guerra commerciale ha fatto emergere i timori degli investitori che l'economia americana possa essere colpita dalla stagflazione. Il fenomeno in genere è molto paventato perché in qualche modo altera alcuni principi fondamentali dell'economia fiscale e monetaria, riducendo il campo di azione dei governi e delle Banche centrali.
Ma cos'è effettivamente la stagflazione? Quando si è verificata in passato e come se ne è usciti? In questo articolo cercheremo di dare una risposta a tutte le domande mettendo particolarmente in luce le caratteristiche della stagflazione e il motivo per cui è così temuta.
Stagflazione: cos'è
La stagflazione è una situazione che si verifica nell'economia quando convivono scarsa o nulla crescita economica, o addirittura recessione, ed elevata inflazione. Normalmente crescita e inflazione viaggiano sugli stessi binari. Quando l'economia va bene, significa che la domanda di beni e servizi cresce, così come l'occupazione perché le aziende producono e assumono di più.
La richiesta di personale fa aumentare i salari, quindi le persone hanno un reddito maggiore da spendere. Si innesca cioè un circolo virtuoso che giocoforza porta all'aumento dei prezzi al consumo. L'opposto accade allorché la crescita è stagnante. Il calo dei consumi fa chiudere le attività delle aziende, che licenziano i lavoratori. Il reddito pro-capite scende e con esso la domanda di beni e servizi. Questo meccanismo comporta inevitabilmente un calo dell'inflazione.
Come è possibile quindi che scarsa crescita e alta inflazione si manifestano allo stesso tempo? L'inflazione si può verificare non solo per effetto di un aumento della domanda, ma anche a causa di una diminuzione dell'offerta.
Ad esempio, cattive condizioni climatiche e una malattia nelle piantagioni possono distruggere il raccolto di materie prime agricole chiave. Politiche protezionistiche estemporanee di uno o più Paesi possono determinare un calo delle esportazioni. Un conflitto militare come quello in corso in Ucraina può comportare una drastica riduzione della fornitura di beni essenziali, tipo gas e petrolio, ma anche di molte altre merci agricole come grano, mais, cereali, olio di girasole, ecc.
In tutti questi casi si crea uno squilibrio sul mercato, con l'offerta che non è in grado di compensare la domanda. Questo deficit si traduce automaticamente in una crescita dell'inflazione, sganciata dallo sviluppo dell'economia, che potrebbe anche essere in recessione.
Stagflazione: il problema di una Banca centrale
La stagflazione non è facile da sconfiggere attraverso la politica monetaria di una Banca centrale. Quantomeno è molto difficile riuscirci senza contraccolpi molto forti sull'economia. Il motivo è che le leve utilizzate dall'autorità monetaria non possono essere messe in azione in maniera piena, in quanto c'è il rischio di provocare altri effetti indesiderati complicati da gestire.
Tra l'altro, esiste anche una possibilità rilevante che tali leve non sortiscano l'effetto desiderato. Ad esempio, se una Banca centrale deve combattere l'inflazione, alza i tassi di interesse per frenare la domanda. Ciò avviene perché per aziende e consumatori diventa più difficile prendere a prestito per effettuare consumi e investimenti in quanto i costi del finanziamento risultano più alti. Attraverso questa politica restrittiva, l'istituto monetario frena la crescita. A quel punto deve cercare un equilibrio affinché l'economia non scivoli in recessione. Tale approccio è possibile solo perché l'inflazione scaturisce dalla crescita, ovvero da un aumento della domanda.
Quindi, basta intervenire su quello per risolvere il problema, o cercare di farlo. Quando invece si è in presenza di stagflazione, la soluzione è molto più impegnativa, perché l'inflazione molto spesso non deriva dalla crescita ma da una crisi dell'offerta. Ne consegue che la Banca centrale se alza i tassi di interesse non rilancia l'offerta, ma abbassa la domanda facendo crollare l'economia. Il problema è che quest'ultima è già debole e quindi la si indebolisce ancora di più.
Cosa significano i dazi
Gli economisti oggi temono scenari stagflazionistici negli Stati Uniti perché la guerra commerciale in atto potrebbe portare a una recessione, mentre i dazi che hanno innescato tale conflitto rischiano di far salire i prezzi. In sostanza, una recessione potrebbe arrivare perché i beni e servizi americani esportati all'estero diventano meno competitivi con la rappresaglia degli altri Paesi ai dazi americani. Quindi, le aziende rischiano di vedersi ridotti notevolmente il fatturato e gli utili nei prossimi mesi.
L'inflazione verrebbe alimentata dal fatto che le società USA sosterrebbero costi all'importazione più elevati che trasferirebbero ai consumatori finali tramite l'aumento dei prezzi in modo da difendere i margini. Questo discorso vale ovviamente per ogni altro Paese impegnato nella guerra commerciale con gli Stati Uniti. La principale superpotenza mondiale è la più esposta in quanto ha stabilito tariffe con tutti i Paesi del mondo, mentre le altre nazioni hanno questo tipo di problema solo con gli USA.
Stagflazione: quando si è verificata
Nella storia non sono molte le situazioni in cui si è verificata una stagflazione, dal momento che si tratta di un fenomeno anomalo nell'economia. Quando ciò è avvenuto, tuttavia, gli effetti sono stati devastanti e, a volte, si è impiegato parecchio tempo per uscire dal tunnel.
Uno dei casi più traumatici di stagflazione a livello storico si è registrato nel 1973 con il
primo shock petrolifero. All'epoca, scoppiò la guerra di Israele contro Siria ed Egitto, con l'occidente che appoggiò lo Stato ebraico. La reazione dei membri dell'OPEC fu disastrosa: il taglio delle esportazioni di petrolio verso i Paesi NATO generò una
crisi energetica mai vista prima. Il calo drammatico dell'offerta innescò un'inflazione galoppante che distrusse il potere d'acquisto dei consumatori.
Tutto il sistema economico fu intaccato e ne conseguì una depressione tremenda che sfociò nell'incremento diffuso della disoccupazione. La crisi durò fino al 1980, quando il dittatore iracheno Saddam Hussein inaugurò la prima guerra del Golfo attaccando l'Iran. Le ostilità tra i due Paesi arabi spinsero i componenti dell'OPEC ad aumentare l'offerta per colmare le quote di Iraq e Iran e quindi a diminuire i prezzi del petrolio.
Nel frattempo ci fu il secondo shock petrolifero nel 1979 che esacerbò il contesto stagflazionistico. Quell'anno andò in scena la rivoluzione iraniana contro l'Ambasciata americana a Teheran, con la presa in ostaggio di 52 tra diplomatici e funzionari da parte di centinaia di ribelli. In Iran, il governo di Mohammad Reza Pahlavi era stato rovesciato per la sua tendenza filo occidentale. Al suo posto i facinorosi avevano instaurato una specie di teocrazia sciita.
Nel frattempo il vecchio scià, malato di cancro, andò in USA per effettuare le cure, ma gli iraniani ribelli temevano che quello fosse un pretesto per trovare un accordo con gli americani che lo conducesse al ritorno al trono. L'Iran chiese l'estradizione dell'ex-sovrano, ma gli Stati Uniti la negarono. A quel punto le frange più estreme della rivoluzione decisero per un atto estremamente spavaldo: occupare l'ambasciata USA.
Le Banche centrali aumentarono i tassi per frenare gli effetti della crescita esponenziale dei prezzi, ma questo generò la stagnazione degli investimenti. La situazione si stabilizzò solo quando il nuovo presidente USA Ronald Reagan fornì armi all'Iran in cambio della liberazione degli ostaggi. L'OPEC, come detto, aumentò l'offerta per compensare le quote di Iran e Iraq, così i prezzi del petrolio scesero innescando una diminuzione generale dell'inflazione. Nel frattempo, avvenne la scoperta nel Mare del Nord e in Alaska di pozzi petroliferi che permisero all'occidente di ridurre la dipendenza dall'OPEC.
Un altro caso clamoroso di stagflazione si è verificato recentemente con la guerra tra Russia e Ucraina. L'inflazione ha cominciato a crescere con la ripresa post-pandemica, allorché le attività venivano riaperte dopo i lockdown la domanda di beni e servizi è esplosa al cospetto di un'offerta insufficiente. La guerra ha ridotto ulteriormente le forniture, in particolare di materie prime, mettendo in crisi tutta la catena di approvvigionamento.
I prezzi sono aumentati come non accadeva da 40 anni e alcuni Paesi, tipo Germania e Gran Bretagna, si sono trovati di fronte a un'economia stagnante. Le Banche centrali hanno iniziato un potente ciclo di aumento ai tassi di interesse per abbattere l'inflazione, sperando in un atterraggio morbido. Nel complesso la situazione è stata parzialmente risolta senza grandi catastrofi. L'economia americana si è mostrata estremamente resiliente. L'Europa è risultata più claudicante, senza sprofondare però nell'abisso degli anni '70.