La Cina è diventata oggi il leader indiscusso delle materie prime critiche. Il suo grande merito è stato quello di investire da oltre un decennio nell'esplorazione, nelle tecniche di mining e in tutto ciò che ha reso possibile controllare la catena di approvvigionamento. Con questo ha costruito un potere enorme nei confronti degli altri Paesi dal punto di vista contrattuale.
Gran parte dei minerali importati a livello mondiale proviene dalla Cina, che può utilizzarli anche per applicare restrizioni al fine di raggiungere determinati obiettivi nell'ambito dei rapporti commerciali. Un esempio emblematico è dato dalle strette sulle forniture di alcune materie prime in risposta ai dazi del 20% sulle importazioni cinesi applicati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Materie prime critiche: cosa sono e perché sono importanti
Le materie prime critiche sono minerali indispensabili per l'economia e difficili da reperire. Secondo il rapporto pubblicato dalla Commissione europea il 23 marzo 2023, in totale esistono 51 minerali critici, tra cui litio, grafite, cobalto, manganese e terre rare. Di questi, 34 sono considerati strategici.
Il loro utilizzo è prezioso nel settore industriale e nella transizione energetica, ovvero per promuovere fonti meno inquinanti nella produzione di energia e nelle innovazioni tecnologiche. La maggior parte di essi ha un ruolo fondamentale nei semiconduttori per le comunicazioni civili e militari, così come nella costruzione delle infrastrutture necessarie per la riduzione delle emissioni di carbonio. Le nazioni hanno cercato di assicurarsi le forniture di quei materiali considerati vitali per la propria industria e in ambito militare.
Materie prime critiche: perché la Cina è un problema per l'Occidente
Molti minerali critici possono essere trovati allo stato grezzo ovunque, ma estrarli e raffinarli in modo da essere impiegati a livello industriale richiede un processo complesso, che comporta un enorme utilizzo di energia e solleva questioni ambientali. La Cina si è mossa prima e con più rapidità rispetto agli altri ed è arrivata a dominare la catena del valore di molti di questi minerali.
In pratica, grazie all'accelerazione della sua crescita economica, la domanda cinese di materie prime industriali ha iniziato a superare di gran lunga le riserve locali. Per questo il Paese si è adoperato con forti investimenti in attività minerarie all'estero, diventando il dominus nella raffinazione e nella lavorazione di molte materie prime industriali.
Il frutto di questi sforzi è che l'ex-Impero Celeste è oggi il principale produttore di 20 materie prime critiche, considerando la quantità estratta e raffinata. Ad esempio, secondo l'Unione europea, nel caso del disprosio, una terra rara molto utile nell'illuminazione e nei laser, la Cina controlla l'84% dell'offerta globale estratta e addirittura il 100% della sua raffinazione. Pechino è anche il più grande produttore di cobalto e nichel, non solo direttamente, ma anche attraverso le licenze che le sue aziende hanno ricevuto per l'estrazione in Congo e in Indonesia.
Di fonte a questa realtà, le aziende occidentali si sono ritirate, seguendo la strategia di esternalizzare la produzione affidandosi alla seconda potenza economica mondiale. Il punto è che affidarsi alla fornitura di Pechino può essere un problema. Già in via generica, dipendere da un solo Paese nell'approvvigionamento di prodotti così importanti è sempre un grosso rischio perché si viene esposti a interruzioni derivanti dal calo della produzione industriale di quella nazione, così come dalla carenza di energia, da epidemie o disordini sociali.
Nel caso specifico, la Cina è oggetto di rapporti controversi con i Paesi Occidentali, e soprattutto con gli Stati Uniti, per la supremazia in ambito economico, tecnologico e dell'innovazione. La guerra commerciale innescata dai dazi USA ha aumentato le tensioni, con la Cina che minaccia ritorsioni proprio sul fronte della fornitura delle materie prime critiche.
A dicembre, il governo cinese aveva già vietato l'export di antimonio, gallio e germanio negli Stati Uniti, dopo che Washington aveva limitato l'accesso alla Cina di alcune tecnologie sensibili americane come i chip di fascia alta legati all'intelligenza artificiale. Il Dragone ha anche attuato strette severe per le vendite di grafite, elemento importante nella costruzione delle batterie dei veicoli elettrici.
Non finisce qui, perché a inizio febbraio, dopo che Trump ha introdotto le tariffe generalizzate del 10% - portate un mese dopo al 20% - alla Cina, quest'ultima ha aggiunto controlli sulle esportazioni di tungsteno, bismuto e altri minerali sfruttati specialmente nei settori dell'elettronica, dell'aviazione e della difesa.
Le reazioni
Per uscire dalla morsa della dipendenza cinese, i Paesi occidentali sono alla ricerca di soluzioni alternative. Negli Stati Uniti, Trump a marzo ha chiesto poteri di emergenza per aumentare la produzione interna e la lavorazione dei materiali. In Europa, è stata varata una legge sulle materie prime critiche per facilitare il finanziamento e le autorizzazioni per nuovi progetti di estrazione e raffinazione, oltre che per stringere alleanze commerciali. Tra l'altro, è in discussione l'approvazione di un Clean Industrial Deal che mira a creare una domanda comune dei minerali critici.
A tutto ciò si aggiungono accordi di fornitura con i Paesi produttori e partnership per investire nei territori in cui sono presenti le materie prime. Non si tratta di un compito facile, anche perché la Cina sta consolidando le relazioni con quegli Stati africani dove abbondano questi metalli.