Il mercato azionario londinese attraversa una delle fasi più cupe della sua storia recente. Nei primi sei mesi del 2025, le società hanno raccolto appena 160 milioni di sterline tramite offerte pubbliche iniziali (IPO), segnando un nuovo minimo in almeno trent’anni. È quanto emerge dai dati elaborati da Dealogic, che retrocedono fino al 1995. Un dato drammatico che mette in discussione il ruolo stesso della City come centro nevralgico della finanza globale.
A titolo di confronto, nel primo semestre del 2021 – sull’onda del rimbalzo post-pandemico – le IPO londinesi avevano raggiunto livelli record. Oggi la raccolta è crollata del 98% rispetto a quei picchi. Persino nel 2009, nel pieno della crisi finanziaria globale, i dati erano migliori.
Il quadro si fa ancor più fosco se si considerano anche le emissioni secondarie di capitale da parte di società già quotate: il totale raccolto tra gennaio e giugno 2025 si ferma a 8,8 miliardi di sterline. È il peggior primo semestre, in termini reali, dal 1995. E più della metà di questa somma deriva dalla cessione finale della partecipazione di GSK nella spin-off Haleon.
Borsa di Londra: la fuga in direzione di New York
“Una volta Londra era un colosso dei mercati azionari, oggi è in una spirale discendente che crea un precedente pericoloso”, ha commentato Sharon Bell, strategist per l’azionario europeo di Goldman Sachs. La fuga delle società più promettenti verso altri mercati – in primis New York – sta erodendo, continua l'esperta, la liquidità e la vitalità del listino britannico.
A preoccupare è soprattutto la crescente tendenza delle società innovative a scegliere Wall Street come luogo di quotazione. Un segnale emblematico è arrivato questa settimana: Pascal Soriot, CEO di AstraZeneca – la più grande società quotata a Londra – ha confidato di valutare un possibile spostamento della sede principale a New York. Una mossa che ha suscitato allarme tra gli investitori della City.
I numeri spiegano bene questa fuga: l’indice FTSE 100 scambia oggi a un rapporto prezzo/utili (P/E) medio di circa 16,6, contro il 27,2 dell’S&P 500. Londra, in altre parole, premia meno chi si quota, rendendo la raccolta di capitali meno vantaggiosa rispetto agli Stati Uniti.
A peggiorare la situazione, numerose società britanniche – da Wise alla recente acquisizione di Spectris da parte di KKR – stanno abbandonando il listino londinese o vengono inglobate da fondi di private equity, che approfittano di valutazioni depresse.
“Ogni settimana sembra esserci una nuova società che lascia il listino o viene acquisita. È come se il mercato britannico si stesse disgregando sotto i nostri occhi”, ha dichiarato Michael Healy, responsabile UK per la piattaforma IG. “Temo che siamo a un punto di non ritorno”.
Il problema, però, non è solo di quotazioni: le società tendono sempre più a restare private, raccogliendo capitali da fondi e investitori istituzionali, lasciando il mercato azionario orfano delle storie di crescita. Questo impoverisce la varietà e l’interesse per l’investimento in equity.
Il governo laburista ha annunciato riforme per cercare di rilanciare il mercato, tra cui la semplificazione delle regole di quotazione. Ma finora l’impatto è stato limitato.
Senza un intervento deciso e coordinato – tra regolatori, istituzioni e operatori – il declino della City potrebbe trasformarsi in un lento, ma inesorabile, esodo finanziario.