Il 9 aprile 2025 è stata una giornata storica per i mercati azionari, allorché il presidente USA
Donald Trump ha sospeso i dazi reciproci su decine di Paesi. La Borsa di New York ha registrato il secondo più grande balzo giornaliero della sua storia durante una crisi finanziaria, con l'indice S&P 500 che è aumentato di quasi 10 punti percentuali. L'euforia si è diffusa a livello mondiale, dando una boccata di ossigeno a investitori depressi a seguito di una guerra commerciale innescata dalle tariffe.
Il dramma sui mercati era iniziato appena una settimana prima, mercoledì 2 aprile, che Trump aveva definito come "il giorno della liberazione" per gli Stati Uniti. Nell'occasione, l'inquilino della Casa Bianca aveva annunciato dazi reciproci per tutti i Paesi con cui gli USA sono in affari commerciali, allo scopo di riequilibrare il flusso tra importazioni ed esportazioni. La mossa aveva però scatenato il panico nei mercati, innescando un sell-off che ha riportato alla memoria i giorni più nefasti delle crisi finanziarie del passato.
Dazi USA: perché Trump ha deciso la messa in pausa
Molti si sono chiesti quale sia stata la reale motivazione dell'inversione a U di The Donald sui dazi USA. Insomma, perché Trump ha fatto un passo indietro proprio nel momento in cui era fermamente intenzionato ad andare fino in fondo?
La portata delle tariffe, così profonde e aggressive, aveva generato malumore tra i legislatori al Congresso, persino tra le fila repubblicane. Anche i titani della finanza avevano espresso deliberatamente il loro disappunto.
Fino a quel momento Trump era rimasto inflessibile, definendosi il presidente di "Main Street" e non di "Wall Street". Un altro modo per dire che i crolli in Borsa avrebbero solo reso meno ricco qualche paperone della grande finanza, ma non avrebbero intralciato il piano per rendere migliore l'America.
Spiegando la sua decisione, tuttavia, il tycoon aveva detto che, di fronte alla disfatta del mercato globale, "bisogna avere flessibilità". Diversi esperti di mercato però ritengono che ad aver fatto scattare la giravolta di Trump sia stato il crollo dei titoli di Stato americani che ha fatto balzare i rendimenti.
Gli Stati Uniti hanno un debito pubblico enorme, che si aggira intorno ai 35.000 miliardi di dollari. Una risalita dei rendimenti è molto pericolosa per la sostenibilità del debito, in quanto le nuove emissioni dovranno garantire dei ritorni competitivi, costando di più alle casse federali in termini di tassi di interesse.
Dazi USA: cosa è rimasto dopo la messa in pausa
In realtà, nei 90 giorni di pausa non sono stati eliminati tutti i dazi reciproci, ma è rimasta la tariffa di base del 10% sulle importazioni. Alcuni beni sono comunque esentati, tipo chip, rame, legname, prodotti farmaceutici, oro, energia e minerali non presenti negli Stati Uniti.
Auto e ricambi non sono assoggettati al prelievo del 10% in quanto hanno una tariffa separata del 25% introdotta a marzo. Allo stesso modo, sono rimasti i dazi del 25% su acciaio e alluminio introdotti in precedenza.
Una situazione particolare riguarda Messico, Canada e Cina. I due Paesi nordamericani sono sottoposti ai dazi del 25% su tutte le loro merci che entrano negli Stati Uniti imposti il 1° febbraio e poi riproposti il 4 marzo dopo una pausa di 30 giorni.
Quanto alla Cina, nessuno sconto. Anzi, lo stesso 9 aprile, Trump aveva portato dal 104% al 125% le tariffe sui beni cinesi, poi aumentati al 145% a causa di contro-dazi di Pechino sulle merci americane fino al 125%. Il motivo per cui Trump non ha avuto clemenza per il gigante asiatico è stato spiegato da lui stesso: il Dragone, a differenza degli altri Paesi, ha applicato
tariffe di ritorsione. "Non vendicatevi e sarete ricompensati", aveva detto il Segretario del Tesoro americano
Scott Bessent.
Cosa succederà dopo i 90 giorni?
Cosa potrebbe accadere dopo i 90 giorni è un enigma. Nessuno sa cosa c'è veramente nella mente di Trump. Alcuni sostengono che la mossa sia stata fatta per calmare i mercati e prendere tempo, senza una reale intenzione di cercare un accordo con gli altri Paesi.
In questo contesto, il tycoon ha avviato indagini affinché possano essere colpiti con nuove tariffe i semiconduttori e i prodotti farmaceutici, il che non fa ben sperare. I più ottimisti invece confidano in un accordo su larga scala che coinvolga anche la Cina e ponga fine finalmente alle turbolenze dei mercati.
Altri ancora sostengono che quanto deciderà Trump alla scadenza dei termini dipenderà dall'andamento dei titoli di Stato, che potrebbe mettere in crisi alcune sue politiche fiscali.