Un tema di cui si parla spesso tra economisti, osservatori finanziari ed esponenti politici nell'ultimo periodo è quello della
stagflazione. A sollevare l'argomento sono state le politiche commerciali basate sui dazi del presidente degli Stati Uniti
Donald Trump. Molti temono che l'aumento dei costi all'importazione per le aziende americane verrà trasferito sui prezzi ai consumatori finali,
innescando meccanismi inflazionistici.
Allo stesso tempo, la riduzione dei consumi (che, nel caso degli Stati Uniti, rappresentano due terzi della ricchezza prodotta) innescata dall'incremento dei prezzi provoca il rallentamento dell'economia. Lo scenario prospettato è simile a quello degli anni '70, quando due violenti shock petroliferi determinarono il fenomeno della stagflazione.
Stagflazione: cos'è
La stagflazione è una situazione economica anomala, in cui si verifica stagnazione della crescita e inflazione. Per stagnazione della crescita si intende sia poca o scarsa crescita, o addirittura recessione, dell'economia.
Normalmente è rara la condizione in cui convivono stagnazione e inflazione, perché i due fenomeni sono contrapposti. L'inflazione di solito viene alimentata dalla crescita di un'economia, in quanto l'aumento della domanda di beni e servizi comporta la salita dei prezzi. Se un'economia non è in salute e non si sviluppa, la domanda diminuisce perché non vengono prodotti reddito e occupazione. Ne consegue che i prezzi calano o non crescono.
Quando, invece, l'inflazione cresce anche se l'economia non lo fa? Ciò avviene se a generare l'aumento dei prezzi non è un incremento della domanda, ma uno shock dal lato dell'offerta. Se ad esempio un'importante materia prima agricola subisce un calo della produzione a causa di un cattivo raccolto, si crea un problema di approvvigionamento che porta a un aumento dei prezzi lungo la catena della produzione e distribuzione. A quel punto, si potrebbe determinare un processo inflazionistico che erode il reddito dei consumatori determinando un crollo della produzione e quindi della crescita economica.
La stagflazione degli anni '70
A livello mondiale ci sono stati alcuni casi di stagflazione nella storia, ma gli esempi che sono rimasti scolpiti nella memoria delle persone risalgono agli anni '70, quando l'economia mondiale fu annientata da due tremendi shock petroliferi.
Il primo si manifestò nel 1973, allorché i membri dell'OPEC decisero di tagliare le esportazioni di petrolio verso l'Occidente, che aveva appoggiato Israele nella guerra appena scoppiata contro Siria ed Egitto. Il secondo avvenne nel 1979, quando andò in scena la rivoluzione iraniana contro l'Ambasciata americana a Teheran, con la presa in ostaggio di 52 tra diplomatici e funzionari da parte di centinaia di ribelli. La crisi che fu generata con il primo shock durò molto di più e in realtà era ancora in corso allorché si verificò il secondo. Quest'ultimo in pratica esacerbò una situazione drammatica che ancora non si era del tutto risolta.
In quegli anni, il sistema economico fu pesantemente intaccato, con l'inflazione che collpì il potere d'acquisto e la disoccupazione che si diffuse molto rapidamente. La depressione fu talmente profonda che tutte le teorie economiche fino a quel momento più in voga e basate su principi apparentemente incrollabili improvvisamente furono messe in discussione.
Tra le teorie sotto esame vi erano quelle del grande economista
John Maynard Keynes, secondo cui le fluttuazioni economiche potevano essere gestite attraverso la stimolazione della domanda. In realtà, gli shock petroliferi dimostrarono che
l'aumento dei costi di produzione e l'inflazione più elevata rendevano meno efficaci le politiche di stimolo keynesiane.
Come se ne uscì? Innanzitutto i governi misero in campo politiche di austerità. In particolare, durante la fine degli anni '70 il governatore della Federal Reserve, Alain Greenspan, attuò una delle politiche monetarie più restrittive che si siano mai viste caratterizzate una sfilza di aumenti ai tassi di interesse. Il prezzo da pagare fu salato a livello di crescita, ma quello fu il passaggio obbligato per uscire dal pantano e dare il là ai ruggenti anni '80.
Un'altra strada che molte aziende percorsero all'epoca fu quella di spostare la lavorazione dei prodotti in aree dove il costo del lavoro era più basso. In questo modo venivano compensati i maggiori costi energetici con una minore spesa per la manodopera.
Una grossa mano per porre termine alla stagflazione di quegli anni però fu data involontariamente dal dittatore iracheno Saddam Hussein, che iniziò la prima guerra del Golfo attaccando l'Iraq. A causa di quel conflitto, i componenti dell'OPEC aumentarono l'offerta di petrolio per compensare la diminuzione delle quote dei due Paesi impegnati nella guerra.
Oggi sono praticabili quelle soluzioni?
Se oggi si dovesse ripresentare la stagflazione negli Stati Uniti, la ricetta adottata negli anni '70 sarebbe attuabile? Ricorrere all'austerità per frenare l'inflazione a spese della crescita, con il rischio di affondare ancora di più un'economia in disarmo, è una possibilità. Il punto è che la soluzione di spostare la produzione laddove la manodopera costa di meno porta in un terreno più paludoso.
Innanzitutto, il processo è già stato avviato da decenni e quindi lo spazio di manovra sarebbe più ristretto. Ma soprattutto c'è il problema dei dazi. Se le aziende statunitensi dovessero trasferire gli stabilimenti all'estero, potrebbero anche risparmiare sui costi della manodopera, ma poi i prodotti finiti che rientrano negli Stati Uniti sarebbero colpiti dalle tariffe imposte dal presidente Trump.
A meno che non venga raggiunto un accordo tra gli USA e gli altri Paesi su larga scala per eliminare qualsiasi forma di prelievo. Una soluzione che al momento appare lontana.