In questo periodo la notizia che gli obbligazionisti di MPS stanno rivivendo l'incubo del Burden Sharing ha occupato le pagine dei giornali. La banca senese si appresta a dare il via a un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro il 17 ottobre: il Tesoro, azionista di maggioranza con una quota del 64%, parteciperà alla ricapitalizzazione con un afflusso di 1,6 miliardi di euro ma da dove arriveranno i restanti 900 milioni di euro resta un incognita.
I rappresentanti del MEF e l'Amministratore Delegato dell'istituto di credito, Luigi Lovaglio, stanno sondando il terreno per nuovi ingressi nel capitale tra banche, compagnie assicurative, fondazioni ed hedge fund. Tuttavia, esiste il rischio che tutta l'operazione non vada a buon fine, e quindi la Banca Centrale Europea ha avvertito del rischio di Burden Sharing come piano B. Vediamo quindi di entrare nel dettaglio con una guida che spiega cosa sia questa pratica, perché viene messa in atto e le differenze rispetto al bail-in ( cosa è il bail-in).
Burden Sharing: definizione e caratteristiche
Il Burden Sharing è un termine che tradotto letteralmente significa "condivisione degli oneri" e consiste in una procedura, stabilita dall'art.132 della UE/2014/59 Bank Recovery and Resolution Directive, che stabilisce che i titolari delle obbligazioni subordinate di una società in dissesto subiscano un ridimensionamento di valore dei loro titoli e la conversione forzosa nel capitale azionario. In questo modo gli obbligazionisti diventano soci dell'azienda, partecipando al rischio d'impresa.
Tutto questo comporta che prima di un aiuto di Stato perseguito attraverso l'utilizzo di fondi pubblici, è necessaria l'approvazione da parte della Commissione Europea, che potrebbe però ordinare la riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate.
Burden Sharing: differenza con il bail-in
Il 1° gennaio del 2016 in Europa è entrata in vigore la normativa sul bail-in come recezione della Direttiva UE n° 2014/59, che in teoria avrebbe dovuto rimpiazzare il Burden Sharing. In sostanza, con il bail-in le perdite di una banca in fallimento sarebbero accollate prima dagli azionisti, poi dagli obbligazionisti subordinati, poi dagli obbligazionisti tradizionali e infine dai correntisti con depositi superiori a 100 mila euro (i depositanti con un capitale inferiore a tale soglia sono garantiti dal Fondo interbancario di garanzia). Lo Stato interviene solo in extrema ratio, ovverosia se con l'eventuale fallimento della banca è minacciato l'interesse pubblico perché viene messa a repentaglio la stabilità dell'intero sistema finanziario
Il Burden Sharing, rispetto al bail-in, offre una maggiore tutela ai titolari delle obbligazioni ordinarie e ai correntisti, che non si trovano a dover "condivide gli oneri" (come avviene per gli obbligazionisti subordinati). Il problema che si pone, come nel caso di MPS, è come sia possibile applicare il Burden Sharing quando in realtà questo è stato sostituito dal bail-in. La risposta è arrivata dalla sentenza della Corte di Giustizia europea a luglio del 2016, in merito al salvataggio di cinque banche della Slovenia. L'organismo sovranazionale ha stabilito che i due meccanismi possono coesistere, facendo venire meno l'obbligatorietà del bail-in. Tra l'altro, il verdetto ha sottolineato che, qualora dovesse avvenire, l'aiuto di Stato dovrebbe essere limitato al minimo indispensabile.
Burden Sharing: il caso MPS
MPS è stata più volte coinvolta nel Burden Sharing negli ultimi anni. Nel 2017 il MEF ha disposto l'applicazione della pratica attraverso una conversione delle obbligazioni subordinate in azioni al prezzo unitario di euro 8,65. Tutto ciò è avvenuto nell'ambito della ricapitalizzazione precauzionale, dopo aver accertato una carenza di capitale di 8,8 miliardi di euro.
La situazione ha rischiato di ripetersi alla fine dello scorso anno, quando le trattative già ben avviate tra il Tesoro e UniCredit per la cessione del controllo della banca saltarono dopo il passo indietro dell'istituto di Gae Aulenti. Un altro fallimento oggi relativo all'aumento di capitale potrebbe rendere più concreto tale pericolo e quindi gli obbligazionisti in questo momento non dormono di certo sonni tranquilli.