Lo strumento del bail-in è diventato di importanza riconosciuta a seguito delle crisi bancarie che negli ultimi decenni si sono susseguiti nei vari Paesi a livello mondiale. Il tema in particolare ha smosso gli ordinamenti giuridici quando è scoppiata la più grande bancarotta della storia degli Stati Uniti, ossia quella che ha riguardato la Lehman Brothers. Da allora i Governi si sono attivati per risolvere una questione spinosa e hanno tracciato delle linee guida che disciplinano fenomeni del genere.
Bail-in: cos'è e come funziona
Il termine bail-in sta a significare salvataggio interno. In sostanza indica la risoluzione di una crisi bancaria attraverso l'intervento esclusivo dei soggetti aventi rapporti con l'istituto, ovvero azionisti, obbligazionisti e correntisti. In altre parole, lo Stato non può chiedere la partecipazione dei contribuenti per andare in soccorso di una banca che sta per fallire.
In Europa la disciplina è in vigore dal 1°gennaio del 2016, in recezione della Direttiva UE n° 2014/59 che fissa alcuni principi cardine. Il primo criterio è quello del No Creditor Worse Off e consiste nel fatto che nessun soggetto coinvolto nelle operazioni di salvataggio debba sopportare perdite superiori a quelle che subirebbe nel caso in cui ci fosse una liquidazione coatta amministrativa.
Il secondo punto concerne il prelievo forzoso che è limitato solo al capitale impiegato nella banca e non riguarda nè i patrimoni dei clienti che la banca ha in gestione e nemmeno i depositi in conto corrente che non superano i 100.000 euro.
Il terzo importantissimo principio è che lo Stato può anche intervenire ma solo come estrema ratio, ovverosia se con l'eventuale fallimento della banca è minacciato l'interesse pubblico perché viene messa a repentaglio la stabilità dell'intero sistema finanziario. Ad ogni modo, anche se in via eccezionale lo Stato corre in soccorso, non può farlo con finanziamenti a fondo perduto.
Il quarto criterio riguarda la possibilità alternativa per la banca di cedere gli asset e i rapporti giuridici esistenti a un terzo soggetto, che può essere ad esempio una bad bank, avente lo scopo di gestire le attività cercando di massimizzarne il valore.
Infine, le Autorità che sono preposte alla risoluzione della crisi bancaria devono presentare un piano di riorganizzazione aziendale in modo tale da permettere all'istituto di credito di continuare in futuro la propria attività.
Bail-in: le passività escluse
Non tutte le passività sono comprese nella risoluzione della crisi bancaria tramite il bail-in. Oltre ai depositi di importo fino a 100.000 euro che sono protetti dal fondo interbancario di garanzia, altre situazioni verranno escluse dalla procedura. Queste riguardano precisamente:
- i covered bonds e altri strumenti dotati di garanzia;
- i beni dei clienti come il contenuto delle cassette di sicurezza o i titoli in conto deposito;
- le passività interbancarie che hanno una durata inferiore ai 7 giorni;
- le partecipazioni ai sistemi di pagamento di durata inferiore ai 7 giorni;
- i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali privilegiati dalla normativa sul fallimento.
Bail-in: origini, storia e sviluppi
Come accennato, l'esigenza di effettuare una riforma per le crisi bancarie, che ha poi partorito il bail-in, deriva dalla grande crisi finanziaria del 2008. All'epoca il Governo degli Stati Uniti si trovò di fronte a un bivio: optare per un salvataggio interno oppure chiedere un enorme sacrificio ai contribuenti per evitare il collasso del sistema finanziario.
Dopo la drammatica vicenda che ha portato al fallimento della Lehman Brothers, si è capito che bisognava trovare una formula per prevenire altre situazioni del genere. Così nel 2010 l'ex Presidente dell'Investment Banking di Credit Suisse Paul Calello e il Vice Presidente Wilson Ervin scrissero un articolo pubblicato su The Economist intitolato From bail-out to bail-in.
Nel pezzo i due economisti suggerivano un meccanismo di salvataggio interno con l'imposizione alle banche travolte da una crisi finanziaria di ricapitalizzare l'istituto ricorrendo esclusivamente a fondi privati.
All'inizio l'idea non ebbe moltissimi sostenitori, in quanto si temeva un possibile effetto domino come avvenne in molte crisi che coinvolsero gli istituti di credito. In seguito invece si realizzò che la strada da percorrere era quella.
L'argomento comunque è sempre stato oggetto di dibattito nella politica interna dei vari Paesi al manifestarsi di ogni situazione limite. Di particolare rilievo è stata la presa di posizione di qualche anno fa della Banca d'Italia, la quale ha affermato che la normativa attuata nel 2016 sia stata affrettata, ma che ai tempi attuali sia inapplicabile in quanto rischia di minare la fiducia nelle banche generando instabilità.