Nella valutazione delle aziende sulle quali investire, Warren Buffett non ha mai utilizzato formule matematiche complesse o strani algoritmi. Si è invece affidato più che altro a criteri di natura qualitativa e quantitativa che possono essere compresi da un comune investitore.
Questi permettono di arrivare al
valore intrinseco della società, che va poi confrontato con il valore di mercato, ossia quello espresso dalle quotazioni in Borsa. La differenza tra le due grandezze costituisce quello che Benjamin Graham, mentore di Buffett, definisce come
margine di sicurezza.
Quanto più è elevato tale margine, tanto più è probabile che l'investimento generi un profitto. Il margine di sicurezza non è sempre garanzia di guadagno, ma quantomeno fornisce un cuscinetto nel caso si commettano errori di valutazione.
L'oracolo di Omaha ha sposato in pieno il concetto espresso da Graham, benché la sua applicazione pratica non fosse proprio la stessa. In sostanza, l'economista di Security Analysis - il libro capolavoro sugli investimenti scritto insieme a David Dodd - riteneva utile investire anche in cattive aziende con ottimi margini di sicurezza; Buffett invece preferiva solo ottime aziende con buoni margini di sicurezza.
Warren Buffett: i 7 fattori quantitativi
In questo testo ci occuperemo dei fattori quantitativi che determinano la valutazione di un'azienda, secondo Warren Buffett. Tali elementi da soli non determinano la scelta e vanno abbinati agli imprescindibili fattori qualitativi che caratterizzano una società (business comprensibile, presenza di un fossato, qualità del management).
Il primo fattore quantitativo è la redditività del capitale netto, conosciuta più comunemente come ROE (Return on Equity). L'indicatore rapporta l'utile netto conseguito dall'azienda al patrimonio medio netto degli azionisti o investimento azionario netto. Quest'ultimo è dato dalla differenza tra le attività totali (attività correnti + immobilizzazioni a lungo termine) e le passività totali.
Le attività correnti sono quelle che possono essere tradotte in liquidità entro i 12 mesi, ovvero il denaro in cassa, i crediti che scadono entro 1 anno e le scorte in magazzino). Le immobilizzazioni a lungo termine sono quelle che richiedono una tempistica superiore ai 12 mesi per essere convertite in denaro liquido, tipo i crediti in scadenza oltre 1 anno, i fabbricati, gli automezzi, i computer, gli immobili, le attrezzature e le immobilizzazioni immateriali come marchi e brevetti.
Le passività totali sono la somma delle passività correnti (in scadenza entro 12 mesi come tasse, debiti verso i fornitori, ecc.) e le passività a lungo termine (in scadenza oltre i 12 mesi quali obbligazioni, TFR, locazioni, ecc.). In buona sostanza, il ROE individua quanto l'azienda utilizzi con efficacia il capitale investito degli azionisti.
Buffett tuttavia tiene in considerazione due aspetti importanti nel numeratore del rapporto. Innanzitutto dagli utili esclude tutte le voci non ordinarie che potrebbero alterare i risultati di un'azienda, oltre i guadagni e le perdite in conto capitale, quindi non derivanti dalla normale gestione operativa. In secondo luogo, tiene conto di quanto l'utile sia stato generato ricorrendo all'indebitamento e quanto ai mezzi propri. Egli è convinto che i buoni risultati si producono maggiormente senza ricorrere troppo alla leva finanziaria.
Il secondo fattore quantitativo è il rendimento delle immobilizzazioni materiali nette. Il calcolo avviene rapportando l'utile netto alle immobilizzazioni materiali nette, cioè alla differenza tra le immobilizzazioni totali, le passività totali, le immobilizzazioni immateriali e il valore nominale delle azioni privilegiate. Il parametro definisce quanto rende il capitale finanziario tangibile netto di un'azienda. Buffett preferisce investire in aziende che guadagno più del 20% dalle immobilizzazioni materiali nette. Queste aziende producono utili senza indebitarsi mai molto.
Il terzo fattore quantitativo sono i margini di profitto e gli utili per azione. Il margine di profitto è il rapporto tra gli utili netti e i ricavi netti. Gli utili per azione sono calcolati rapportando l'utile netto al numero delle azioni circolanti. Un'azienda con un buon margine di profitto ha un'attività in salute, riesce a determinare i prezzi e controlla in maniera efficace le spese. Tutto ciò dipende dal settore merceologico.
Ad esempio, le aziende tecnologiche hanno tendenzialmente margini più elevati, mentre le compagnie aeree sono tra le categorie aziendali con margini più bassi. Quanto all'utile per azione o EPS (Earnings per Share), gran parte gli analisti utilizza principalmente questo parametro per valutare un'azienda. Buffett però mette in guardia da un aspetto. Il dato incamera anche gli utili dell'anno precedente trattenuti in azienda. Per questo motivo il risultato può essere gonfiato.
Il quarto fattore è il rapporto tra debito e capitale sociale. Il debito è misurato dalle passività totali dell'azienda. In pratica, Buffett vuole vedere quanto una società sia in grado di sostenere la sua attività con mezzi propri, senza cioè ricorrere alla leva finanziaria. Il rapporto in parola dipende molto dal settore di appartenenza dell'impresa, ma di norma un valore inferiore a 1 sarebbe l'ideale. Ovviamente, quanto più è basso tanto più l'azienda è nelle condizioni di ripagare i suoi debiti e tanto più risulta attraente.
Il quinto fattore è il free cash flow o flusso di cassa. Il parametro misura quanto è il livello di liquidità disponibile una volta effettuati gli investimenti operativi e in immobilizzazioni necessari. Il free cash flow può essere calcolato in vari modi. Ad esempio sottraendo le spese in conto capitale dal flusso di cassa derivante dalle attività operative; oppure decurtando dal profitto netto operativo dopo le tasse (ricavi - costi operativi - tasse) l'investimento netto in capitale operativo.
Qualunque sia la modalità di calcolo, è importante ciò che il flusso di cassa esprime. Se è positivo, l'azienda può utilizzare liquidità per fare investimenti in ricerca e sviluppo, acquisire nuove aziende, tagliare il debito e remunerare gli azionisti con dividendi e buyback. Se è negativo, vuole dire che la società sta bruciando liquidità.
Ma non per forza questo deve essere un problema. Ci sono dei casi in cui il denaro liquido diminuisce perché l'azienda sta facendo investimenti importanti per la crescita, nell'attesa che in futuro il ritorno sia tale da recuperare tutta la liquidità consumata e aggiungerne altra.
Il sesto fattore è il capitale. Buffett preferisce quelle aziende che per operare non hanno bisogno di grandi capitali, quindi che non necessitano enormi investimenti. In altre parole, non ama le aziende che sostengono costi operativi troppo elevati e che hanno uscite di cassa ai limiti della sostenibilità. Anche perché in molti casi tali aziende finiscono per adoperare la leva finanziaria e portare l'indebitamento fuori controllo.
Il settimo fattore è la quota di utili non distribuiti. Qui si apre un capitolo ampio, che per brevità cerchiamo di sintetizzare. Buffett guarda con ammirazione quelle aziende che utilizzano i guadagni generati per reinvestirli nella crescita aziendale. Ad esempio, una società può puntare sullo sviluppo di un nuovo prodotto, sull'apertura di nuove filiali, sull'assunzione di nuovi collaboratori, su una campagna pubblicitaria o sull'acquisizione di altre aziende.
Tutto questo però richiede alcune condizioni ferree: una è che il ritorno dell'investimento deva essere superiore al costo del capitale; un'altra è che il rendimento deva essere maggiore di quello della media del mercato; un'altra ancora è che ogni dollaro trattenuto deva tradursi almeno in un dollaro di valore di mercato. Un'azienda che massimizza gli utili non distribuiti è orientata al successo economico perché investe nella propria crescita.
Se però le condizioni descritte non vengono rispettate, secondo Buffett la società sperpera denaro e a quel punto è preferibile restituire il denaro agli azionisti attraverso il dividendo o il riacquisto di azioni proprie.