Warren Buffett: ecco i 3 fattori qualitativi nella scelta delle azioni | Investire.biz

Warren Buffett: ecco i 3 fattori qualitativi nella scelta delle azioni

11 nov 2024 - 14:00

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Warren Buffett ha sempre utilizzato tre fattori qualitativi nella sua analisi prima di acquistare un'azienda. Vediamo nel dettaglio quali sono e la loro importanza

Gli operatori di mercato di tutto il mondo si sono sempre cimentati per cercare di carpire il segreto che ha reso Warren Buffett un investitore di così grande successo. Eppure la sua filosofia di investimento è semplice, non richiede l'utilizzo di chissà quali formule matematiche o conoscenza avanzata di sistemi complessi. Nella sua scelta delle azioni da acquistare, l'oracolo di Omaha si affida a fattori qualitativi e quantitativi per valutare un'azienda. In questo testo parleremo dei fattori qualitativi, scendendo nel dettaglio di ognuno di essi. 
 

Warren Buffett: i fattori qualitativi dei suoi investimenti

Prima di trattare dei fattori qualitativi, occorre fare una premessa. Buffett si è sempre affidato al concetto di margine di sicurezza appreso dal suo mentore: Benjamin Graham. L'economista considerava il margine di sicurezza la differenza tra il valore intrinseco di un'azienda e il suo valore di mercato. Quanto più questo divario fosse stato ampio, tanto più l'investimento sarebbe risultato profittevole. In realtà, un grande margine di sicurezza non era garanzia di guadagno, secondo Graham, ma comunque forniva un cuscinetto che tutelava l'investitore da errori di valutazione.
 
La differenza tra Graham e Buffett consisteva nel fatto che il primo teneva conto anche di cattive aziende purché avessero prezzi molto convenienti; mentre il re del value investing preferiva puntare solo su ottime aziende a buoni prezzi. Partendo da questa base, Buffett considera tre fattori qualitativi di un'azienda.
 
Il primo è il l'attività della società che deve essere comprensibile per chi investe. In sostanza, Buffett ama le aziende con un business semplice, con una storia alle spalle coerente e che abbia prospettive di profitto chiare. Il 94enne miliardario si è appassionato di una società come Coca-Cola dopo averla seguita per anni proprio per questo motivo: l'azienda incarna la semplicità del business.
 
 
Infatti produce un concentrato che trasferisce agli imbottigliatori per la distribuzione presso supermercati, negozi, grossisti, ristoranti e fast food. In tutta la sua storia, che ha origine nel 1886,  l'attività di Coca-Cola ha fatto perno su una bevanda che, nonostante alcuni tentativi di imitazione, non è stata riprodotta da altre aziende allo stesso modo. 
 
Questo introduce al secondo fattore qualitativo: il fossato. Un'azienda che ha creato intorno a sé un fossato - ossia una sorta di fortezza che tiene lontani gli attacchi della concorrenza - ha costruito le basi per una crescita duratura. Solitamente le aziende che producono un bene differenziato hanno maggiori chance di creare un fossato: Coca-Cola è una di queste.
 
Ci sono però altre realtà che, anche se non dispongono di un prodotto unico, sono riuscite lo stesso ad ottenere un vantaggio competitivo rispetto ad altri. Apple ad esempio vende una gamma di prodotti riproducibili da altri, ma una serie condizioni che abbracciano il brand, il design, la capacità di determinazione dei prezzi, l'innovazione, la managerialità e altre caratteristiche, ha fatto sì che le persone preferiscano la sua offerta.
 
Buffett considera il franchise di Apple come qualcosa intorno a cui le persone ci costruiscono tutta la loro vita. "Se prendo una dozzina di ragazzi, come faccio le domeniche, e li porto al Dairy Queen, hanno tutti in mano i loro iPhone, fanno fatica a dirmi due parole, tranne quando ordino per loro i gelati o qualcosa del genere", disse scherzando Buffett in un'intervista nel 2018.
 
Apple insomma vende un prodotto che crea dipendenza e per questo ha un fossato che respinge gli altri competitor. Perché un fossato sia tale inoltre è importante che l'azienda non sia esposta a cambiamenti rapidi e continui. Non perché non possa essere redditizia, ma perché la certezza dell'investimento viene messa costantemente sotto pressione. 
 
Il terzo fattore qualitativo è rappresentato dal management. Il guru della finanza si è sempre affidato a società gestite da manager capaci, onesti e trasparenti. La capacità non solo è rilevata dalle intuizioni e dalla preparazione, ma anche dalla forza di resistere all'imperativo istituzionale, ovvero alla tendenza a fare quello che fanno gli altri manager per non apparire sprovveduti.
 
L'onestà e la trasparenza sono altresì valori imprescindibili per Buffett. Un management disonesto, che bada al suo interesse e non a quello degli azionisti, finisce sempre per fare il male dell'azienda. Il leggendario investitore è poi consapevole che gran parte dei dirigenti cercano sempre di far apparire la situazione aziendale migliore di quello che è nei loro rapporti trimestrali; ed è per questo che non bisogna prendere per oro colato le loro dichiarazioni ma occorre confrontarle con quelle del passato e metterle in rapporto con i risultati nel frattempo conseguiti dalla società.
 
Buffett ha sempre insistito sui buoni manager nella valutazione delle aziende, ma allo stesso tempo ha evitato quelle società troppo dipendenti da essi, ovvero il cui successo è esclusivamente da attribuire alle capacità di un particolare CEO. Questo perché tutto ciò dice poco sul futuro di quell'azienda. In altri termini, se una società è redditizia solo perché gestita magistralmente dal suo Amministratore delegato, cosa ne sarà di essa quando la sua punta di diamante non ci sarà più? Qualora l'azienda invece sia redditizia semplicemente se ben gestita, abbia solide fondamenta e un buono stato di salute, a quel punto la presenza di quel particolare manager è importante, ma non indispensabile.
 
 

Esempi pratici: il caso GEICO

Quando Warren Buffett acquistò le azioni GEICO a metà degli anni '70 attraverso il suo conglomerato finanziario, la Berkshire Hathaway, mise in campo tutti i criteri qualitativi che guidano di solito i suoi investimenti e, alla luce di questi, ancora oggi conserva la partecipazione nella compagnia di assicurazione.
 
Buffett comprese perfettamente il business di GEICO all'inizio degli anni '50, quando era ancora studente alla Columbia University. All'epoca Buffett decise di andare a visitare l'azienda nella sede di Washington e fu accolto dal rappresentante delle vendite, poi diventato presidente, Lorimer Davidson. Quel giorno Buffett trascorse cinque ore in azienda e domandò di tutto, uscendo da lì con un bagaglio di conoscenze importante.
 
Poi dichiarò di aver imparato di più quel giorno che durante tutti gli anni di frequenza al college. In particolare, il giovane studente apprese che un'impresa assicurativa guadagna attraverso due modi: il primo, e il più ovvio, con i premi pagati dagli assicurati per le polizze; il secondo con il rendimento degli investimenti di quei premi. La redditività di una compagnia assicurativa è misurata dal rapporto combinato, ossia dal rapporto tra perdite subite dai sinistri più le spese generali e i premi incassati. Se il rapporto combinato è inferiore a 1, allora la compagnia è redditizia. In caso contrario, l'azienda è in perdita operativa. 
 
Il fossato di GEICO si basava su un vantaggio competitivo sostenibile. A differenza dei competitor, GEICO vendeva polizze per corrispondenza, evitando di utilizzare gli agenti. Questo le permetteva di non sostenere i costi delle provvigioni e quindi di essere più competitiva rispetto alle altre sui prezzi delle polizze.
 
Buffett acquistò le azioni GEICO perché rimase impressionato dal piano del CEO John Byrne, in un momento di grande difficoltà dell'azienda. Il programma prevedeva un aumento di capitale, contratti di riassicurazione con altre compagnie per limitare il rischio, e un taglio dei costi attraverso la chiusura di uffici e il licenziamento del personale. 
 
 
 

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