Il leggendario investitore
Warren Buffett ha sempre criticato il sistema commissionale dei gestori di fondi, ritenendo che gli investitori sarebbero fortemente danneggiati affidando i loro soldi a questi asset manager. Nel 2006, il numero uno del conglomerato finanziario
Berkshire Hathaway lanciò una sfida molto suggestiva. Scommise un milione di dollari che nell'arco di 10 anni
nessun gestore di fondi avrebbe superato il rendimento dell'indice S&P 500.
Buffett faceva sul serio, quella non era una provocazione. La sfida fu lanciata in occasione dell'assemblea annuale della Berkshire, ma quel giorno piombò in sala un silenzio assordante. Il messaggio fu ribadito in altre circostanze e nessuno tra i gestori di fondi si fece avanti fino al 2008, quando un certo Ted Seides trovò il coraggio e accettò di gareggiare con Buffett. Per la verità, Seides era più un venditore che un asset managet. Il suo hedge fund Protégé Partners era un fondo di fondi, quindi egli selezionava i gestori che operavano al posto suo. La partita si concluse nel 2018 come stabilito e la vittoria dell'oracolo di Omaha fu larga.
Questo cosa dimostra? Una realtà che negli anni è stata suffragata da molti studi e ricerche, ossia che nel lungo periodo battere il più importante indice borsistico americano rasenta l'impossibile. C'è chi ci è riuscito, ma si è trattato di casi sporadici. Uno dei principali motivi per cui le performance dei fondi gestiti attivamente non sono in grado nemmeno di eguagliare quelle dell'S&P 500 sono proprio le commissioni.
Prima che
Jack Bogle, il fondatore di Vanguard, lanciasse il primo fondo indicizzato basato sul benchmark americano, nel mondo del risparmio gestito prevaleva la regola 2-20. In pratica, i gestori chiedevano una tariffa del 2% annua come spesa di gestione del fondo, più un 20% sulle performance che quel fondo otteneva. Un vero salasso se si considerano poi i costi di entrata e uscita dall'investimento.
Non solo. Ogni anno la situazione di bilancio veniva azzerata, nel senso che se nell'anno precedente il fondo aveva maturato una perdita, all'inizio del nuovo anno si ricominciava da zero senza tener conto del passivo precedente. Ad esempio, se un soggetto avesse investito 1.000 dollari e il suo investimento avesse perso il primo anno il 50%, il fondo ovviamente non avrebbe applicato alcuna commissione di performance, mentre il valore della posizione sarebbe diventata di 500 dollari.
Se il secondo anno, la performance fosse raddoppiata, il capitale dell'investitore sarebbe tornato a 1.000 dollari, ma sul 100% di guadagno di quell'anno il gestore avrebbe calcolato la commissione del 20%. Quindi, di fatto, l'investitore si sarebbe ritrovato 900 dollari, ovvero 1.000 dollari meno il 20% su un profitto di 500 dollari. In sostanza, avrebbe pagato una commissione di performance senza aver guadagnato un centesimo dall'inizio del suo investimento.
A tutto ciò occorreva ovviamente aggiungere le commissioni di gestione del 2%.
Warren Buffett: le commissioni dei suoi fondi
Dal 1956 al 1969 Warren Buffett aveva gestito fondi di investimento, ottenendo successi spettacolari. Questo prima che si dedicasse completamente alla Berkshire Hathaway che acquistò come azienda tessile ormai in stato fallimentare e trasformò in un colosso finanziario. Ma quali erano le commissioni che l'oracolo di Omaha applicava ai suoi fondi?
Intanto, non prevedeva alcuna commissione di gestione annuale e già questo era un grosso risparmio per chi decideva di affidargli i suoi soldi. In secondo luogo, riscuoteva una commissione di performance del 25% su tutti i profitti superiori al 6%. Il principio era il seguente: se i suoi fondi guadagnavano meno di sei punti percentuali, Buffett non percepiva un centesimo, ma oltre doveva essere ampiamente ricompensato.
Tutto ciò era in sintonia con le critiche che il re del value investing lanciò negli anni al meccanismo delle commissioni praticato dai gestori. Per questo considerò poi quella dei fondi indicizzati di Jack Bogle, la più grande trovata che il mondo degli investimenti ha conosciuto nella sua storia. Buffett non aveva stima dei gestori dei fondi. "Preferirei che i miei soldi venissero gestiti da un branco di scimmie cieche che lanciano freccette verso l’S&P 500 piuttosto che da idioti strapagati", dichiarò una volta l'investitore miliardario.