La situazione debitoria dei Paesi dell'Unione Europea ha messo in allarme la
BCE, al punto da convocare una riunione di emergenza questa settimana.
A destare maggiore preoccupazione sono i titoli di Stato italiani, il cui rendimento a 10 anni è schizzato fino a oltre il 4% dopo che l'Eurotower nella riunione di giovedì scorso aveva prefigurato un rialzo dei tassi d'interesse a luglio e settembre. Gli investitori hanno rivisto vecchi scenari, che riportano la mente al 2011, quando il rendimento dei BTP decennali salì oltre il 7% e lo spread con i Bund tedeschi arrivò a 500 punti base.
Oggi probabilmente vi è una Banca Centrale Europea più presente rispetto ad allora, grazie alla direzione che è stata impressa durante il mandato di
Mario Draghi al vertice di Francoforte. Ora Draghi è a capo del Governo italiano e gode del favore dei mercati, tuttavia la prospettiva di oneri finanziari maggiori su un debito monstre che ha raggiunto il 150% del PIL ha posto
problemi di sostenibilità, agitando gli investitori.
L'istituto guidato da
Christine Lagarde teme che la situazione debitoria dell'Italia non sia la sola che investe il nostro Paese, ma che una politica troppo aggressiva sui tassi vada ad aggiungere
pressione sulle famiglie e imprese italiane, le quali si troverebbero a sostenere esborsi più consistenti per i mutui e i prestiti. Tutto ciò configurerebbe il rischio di una grave contrazione dell'economia.
BCE: ecco le mosse anti-spread
Quindi il Consiglio Direttivo della BCE ha messo in campo una mossa per difendere i Paesi più vulnerabili come l'Italia, attraverso uno
scudo anti-spread, che secondo alcuni richiama il
"whatever it takes" di Mario Draghi. In cosa consiste?
Innanzitutto, l'istituto monetario sarà flessibile nel modo in cui verranno reinvestiti i fondi dai rimborsi dei titoli in scadenza dei suoi programmi di acquisto. La Banca Centrale ha precisato che potrebbe riacquistare titoli di Paesi i cui costi di finanziamento aumentano in modo più rapido, al fine si tenere un limite ai rendimenti. Tutto questo è di fondamentale importanza per perseguire gli obiettivi di politica monetaria, ossia di aumentare il costo del denaro per abbattere un'inflazione che ormai ha superato la soglia dell'8%.
Inoltre, l'Eurotower accelererà sulla predisposizione di nuovi strumenti anti-frammentazione, per evitare che gli spread si allarghino nei Paesi più a rischio determinando disomogeneità sul fronte del debito pubblico. Di tali strumenti, Christine Lagarde ne aveva parlato in conferenza stampa alla fine del meeting del 9 giugno, ma il fatto di non aver fornito dettagli aveva innervosito i mercati finanziari. Nemmeno stavolta ci sta molta letteratura, ma almeno si sa che il Consiglio Direttivo sta lavorando per implementare in tempi rapidi un vero e proprio scudo anti-spread.
Scudo anti-spread: sarà davvero un "whatever it takes"?
Molti si stanno interrogando se le mosse di Lagarde possano raffrontarsi a quelle di Mario Draghi del 2015 quando annunciò il suo whatever it takes per salvare l'euro, oggetto a quell'epoca della speculazione per la crisi debitoria dell'eurozona. Secondo la società di gestione patrimoniale Moneyfarm la BCE ha mostrato una certa flessibilità, sia nel contenimento diretto degli spread attraverso l'acquisto di obbligazioni pubbliche dei Paesi più esposti, sia ponendosi come parafulmine nelle situazioni particolari di stress dei mercati.
Annalisa Piazza, analista di Mfs Investment Management, ritiene che non si tratta di un vero e proprio whatever it takes, ma la BCE sta lanciando un chiaro segnale mostrando qual è la soglia di dolore dove potrebbe intervenire, proprio per impedire il riaccendersi di focolai sulla sostenibilità del debito sovrano.
A giudizio di Alvise Lennkh-Yunus, Executive Director, Sovereign & Public Sector dell'agenzia di rating europea Scope Ratings, la questione chiave è la volatilità del mercato fino a quando non si troverà un nuovo equilibrio. In altri termini, la BCE sarà presente affinché i premi per il rischio riflettano nuovamente i fondamentali del Paese, operando in un contesto in cui la politica monetaria sarà normalizzata.