La decisione della Federal Reserve di mantenere inalterati i tassi d’interesse nella riunione di giugno è stata accolta con una miscela di sollievo e preoccupazione da parte dei mercati. Se da un lato il famigerato “dot plot” — ovvero la proiezione dei tassi da parte dei membri del FOMC — continua a indicare due tagli nel 2025, dall’altro emergono segnali chiari di una realtà economica più fragile e complessa di quanto si voglia ammettere.
L’aggiornamento delle stime da parte della Fed, infatti, racconta una storia diversa: crescita al ribasso, inflazione rivista al rialzo e un aumento delle voci contrarie a qualsiasi allentamento nel breve termine.
Dietro le quinte di una “dovish hold", una conferma dei tassi con venature da colomba, si cela un dilemma che si sta facendo sempre più spinoso: l’economia statunitense rischia di entrare in un territorio di stagflazione moderata, caratterizzato da crescita fiacca e prezzi in ascesa. Per Frances Donald, Chief economist di RBC Capital Markets, “stiamo passando da una stagflazione leggera a una potenzialmente moderata”.
Il nodo inflazione: più persistente del previsto
Nel corso della riunione, la Fed ha aggiornato al rialzo le sue previsioni sull’inflazione, una mossa che alimenta i timori di una normalizzazione più lenta del previsto. Le tensioni sui prezzi, aggravate da possibili tariffe commerciali e fattori esogeni come i rischi geopolitici in Medio Oriente, hanno spinto diversi osservatori a riconsiderare lo scenario di riferimento.
Jim Caron, responsabile delle soluzioni di portafoglio di Morgan Stanley Investment Management, ha colto bene il punto: “i rischi sull’inflazione sono inclinati verso l’alto, e lo stesso vale per la disoccupazione. Non si tratta tanto di stagflazione in sé, quanto di una distribuzione asimmetrica dei rischi”.
"Implicitamente - ha detto Simon Dangoor, Head of Fixed Income Macro Strategies di Goldman Sachs Asset Management - i membri del FOMC continuano ad aspettarsi che l’inflazione più alta nel breve periodo si riveli in gran parte transitoria, e la loro tolleranza verso un aumento della disoccupazione rimane bassa. Ci aspettiamo che la Fed mantenga i tassi invariati alla riunione del prossimo mese, ma riteniamo che si possa aprire un percorso verso la ripresa del ciclo di allentamento più avanti quest’anno, qualora il mercato del lavoro si indebolisse".
Sul fronte dell’occupazione, i dati mostrano un raffreddamento, ma non una debolezza conclamata. Secondo Scott Welch di Certuity, “la situazione dell’occupazione si sta raffreddando, ma nulla di problematico finora”. È questa stabilità relativa che offre alla Fed lo spazio per temporeggiare, senza essere obbligata a reagire immediatamente.
Il rischio politico: disallineamento tra Washington e la Fed
Richard Flynn, managing director di Charles Schwab UK, ha evidenziato il fatto che la Fed si trova oggi in una posizione di equilibrio precario tra le pressioni politiche e i vincoli della realtà economica. “Ci troviamo di fronte - ha evidenziato Flynn - al disallineamento tra le aspettative politiche e gli obiettivi della politica monetaria”.
La distribuzione interna delle opinioni nel FOMC mostra una crescente prudenza. Come sottolineato da Jerry Tempelman di Mutual of America, “ben sette partecipanti ora prevedono che i tassi non cambieranno entro la fine dell’anno, contro i quattro di marzo”. Questo spostamento, seppur sottile, è indicativo di un orientamento più restrittivo rispetto alle attese.
Non è un mistero che la politica monetaria abbia strumenti limitati contro shock esogeni come dazi doganali o crisi petrolifere. “La Fed non dispone di strumenti efficaci per affrontare shock di tipo stagflazionistico come l’aumento delle tariffe o le interruzioni dell’offerta di petrolio”, ha ammesso Bill Adams, chief economist di Comerica Bank.
Questa osservazione sottolinea la natura strutturale del rischio attuale: più che un problema ciclico, quello che si sta delineando è uno scenario in cui le variabili economiche sono influenzate da decisioni politiche e dinamiche globali sempre più complesse.
L’incertezza è la nuova normalità
Il quadro complessivo suggerisce che, più che una svolta imminente, ciò che ci attende è una lunga fase di monitoraggio e adattamento. La Fed non vuole sbagliare timing, ma nemmeno ignorare segnali precoci di deterioramento economico. Il rischio stagflazione resta sullo sfondo, come una possibilità più politica che inevitabile, ma sufficientemente reale da tenere in allerta mercati, investitori e cittadini.