Nuovo presidente Fed: Hassett “ombra” già muove i mercati | Investire.biz

Nuovo presidente Fed: Hassett “ombra” già muove i mercati

06 dic 2025 - 09:00

Nel 2026 il vero market mover sarà il nome del nuovo presidente Fed: dalla scelta di Washington dipenderanno tassi, dollaro e rischio globale

Il 15 maggio 2026 scadrà il mandato di Jerome Powell alla presidenza della Fed. La Banca centrale statunitense non è solo l’architrave della politica monetaria americana, ma il perno attorno a cui ruota il costo del denaro nella principale valuta di riserva mondiale; ogni cambio di leadership significa ripensare l’equilibrio tra lotta all’inflazione, sostegno alla crescita e tolleranza alla volatilità sui mercati.

Come ricorda Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, “la nomina del nuovo presidente della Fed è destinata a diventare il vero market mover del 2026”, perché definirà anche il grado di indipendenza dell’istituto rispetto alla Casa Bianca di Donald Trump.

Nelle ultime settimane il presidente Trump ha chiarito di aver già scelto il successore, pur rinviando l’annuncio “all’inizio del 2026”, alimentando deliberatamente incertezza e speculazioni. La partita si gioca dunque nella fase delle shortlist e dei rumor, in attesa di una nomina formale che dovrà comunque passare dal vaglio del Senato.

 

 

Nuovo presidente Fed: i papabili

Le principali fonti del mercato convergono su una rosa ristretta di candidati:

  • Kevin Hassett, oggi alla guida del National Economic Council e figura di riferimento per Trump;
  • il governatore Christopher Waller e la governatrice Michelle Bowman, espressione della continuità interna;
  • l’ex governatore Kevin Warsh, con forti legami con Wall Street;
  • Rick Rieder, Chief investment officer del reddito fisso globale di BlackRock.

 

I mercati delle previsioni, da Polymarket a Kalshi, quantificano con chiarezza questo scenario: le probabilità più recenti attribuiscono a Hassett una quota intorno ai tre quarti, con Waller in posizione di secondo favorito, Warsh staccato ma non irrilevante e uno spazio ormai minimo per veri outsider. Non a caso alcune analisi descrivono Hassett come una sorta di “shadow Fed chair”, un presidente-ombra già in grado di orientare le aspettative sul futuro percorso dei tassi (Nuovo Chairman Fed: Trump vuole un “governatore ombra”). 

Parallelamente, il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha iniziato a spingere per modifiche strutturali alla governance della Fed, ad esempio introducendo un requisito di residenza minima di tre anni per i presidenti delle banche regionali, mossa che aumenterebbe l’influenza dell’esecutivo sulla scelta delle figure chiave nel FOMC. Questo tentativo di “ri-ancorare” la Fed ai territori viene letto dagli investitori come un ulteriore tassello nella strategia di Washington per ridurre il grado di autonomia percepita della Banca centrale e tenere più basso, nel tempo, il costo del denaro.

 

 

Tre traiettorie per la Fed post-Powell

Nell’analisi di Diodovich, gli scenari per la politica monetaria nei prossimi anni possono essere sintetizzati in tre grandi traiettorie, ognuna con implicazioni radicalmente diverse per curva dei Treasury, dollaro ed equity.

Nel “baseline scenario”, quello oggi prezzato come più probabile, la presidenza andrebbe a Kevin Hassett, economista di lungo corso e figura molto vicina alla Casa Bianca, con un chiaro bias pro-crescita e pro-mercato. Una Fed guidata da Hassett verrebbe percepita come più sensibile alle variabili occupazione e crescita rispetto all’obiettivo di tenere l’inflazione rigidamente ancorata al target, accrescendo la sensazione di una Banca centrale meno hawkish nel medio termine e più permeabile alle pressioni politiche.

Per i mercati questo significherebbe, in prima battuta, curva USA più ripida, con maggiore pressione sui rendimenti lunghi se l’inflazione dovesse restare appiccicosa, supporto per equity e asset rischiosi e un probabile indebolimento del dollaro nel medio-lungo termine qualora crescessero i dubbi sulla determinazione della Fed nel contenere i prezzi. È lo scenario più “market friendly” nel breve, ma, rileva l'esperto, porta con sé il rischio di un futuro cambio di rotta brusco, qualora nuove fiammate inflattive costringessero la “Fed in versione Hassett” a una stretta più aggressiva.

Il secondo scenario è quello della continuità tecnica, con l’ascesa di un profilo già interno al Board come Christopher Waller o Michelle Bowman, espressione di una Fed "più prevedibile e in forte continuità con l’era Powell". Qui la linea di policy resterebbe fortemente data-dependent, con grande attenzione alla comunicazione graduale e alla gestione delle aspettative, e una priorità esplicita alla credibilità anti-inflazione e al consolidamento del ritorno verso il target del 2%.

Le implicazioni di mercato sarebbero una curva tendenzialmente più piatta, minore pressione sui rendimenti lunghi, un dollaro relativamente più forte in uno scenario di tassi “higher for longer” e valutazioni azionarie più selettive, con vantaggio relativo per quality, large cap e settori difensivi. È lo scenario della stabilità: meno sorprese nel breve, ma anche minore probabilità di errori di policy clamorosi, a prezzo di un contesto meno euforico per gli asset rischiosi.

Infine, lo scenario outsider - associato ai nomi di Kevin Warsh o Rick Rieder - proietta alla guida della Fed una figura con un profilo marcatamente market-oriented, forgiato da un lungo passato nei mercati finanziari. In questo contesto la comunicazione di politica monetaria sarebbe ancora più attenta alla reazione degli asset, focalizzata su condizioni di liquidità e stabilità finanziaria e volta a evitare shock improvvisi su bond ed equity.

Ne deriverebbe un mix di pragmatismo e volatilità: maggiore flessibilità nel ciclo di tagli e rialzi, ma anche rischio di pericolosi stop & go se l’inflazione dovesse crescere più del previsto. Per gli investitori questo scenario implicherebbe un aumento della volatilità azionaria soprattutto nella fase di transizione da Powell al nuovo presidente, un dollaro tendenzialmente più debole e un contesto che premia soprattutto chi è in grado di gestire attivamente l’esposizione al rischio, più che strategie passive di "buy and hold".

 

 

Perché il nuovo presidente Fed conta (molto) per l’Europa

La scelta del nuovo presidente della Fed non è un affare solo statunitense: per un investitore europeo, e italiano in particolare, le conseguenze si faranno sentire su tassi globali, cambio e rotazioni settoriali.

Sul fronte obbligazionario, evidenzia, Diodovich, una Fed più "dovish" in stile Hassett tenderebbe "a ridurre la pressione sui rendimenti globali, agevolando il compito della BCE e sostenendo gli spread dei Paesi periferici dell’Eurozona"; al contrario, una Fed più hawkish e “ortodossa”, alla Waller/Bowman, manterrebbe più a lungo elevato il livello dei tassi reali, con maggiori tensioni sui segmenti più fragili del debito sovrano.

Anche il cambio euro/dollaro è destinato a riflettere queste scelte: un’impostazione falco rafforzerebbe il biglietto verde, con impatto diretto sulle esportazioni europee e sulla performance degli asset denominati in valuta locale, mentre un approccio più pro-crescita e accomodante nel tempo eroderebbe l’appeal del dollaro come valuta rifugio, aprendo spiragli più favorevoli per l’euro. 

Le rotazioni settoriali e di stile completano il quadro: nello scenario Hassett il vantaggio relativo andrebbe ai ciclici globali, ai finanziari e alle small/mid cap, che tradizionalmente beneficiano di condizioni monetarie più morbide. Un’eventuale presidenza Waller o Bowman disegnerebbe invece un contesto più favorevole ai titoli “quality”, ai difensivi e ai grandi esportatori con forte pricing power, meglio equipaggiati per navigare una fase di tassi elevati più a lungo.

Con un profilo outsider come Warsh o Rieder, l’elemento dominante sarebbe la volatilità: gli investitori sarebbero chiamati a muoversi tra più brusche oscillazioni di risk-on e risk-off, con premi per chi saprà leggere in tempo reale segnali, conferme e ripensamenti nella comunicazione della Fed.

In questo contesto, conclude Diodovich, tre checkpoint saranno decisivi nel 2026:

  • l’annuncio ufficiale della Casa Bianca, atteso a inizio anno e destinato a diventare il primo vero market driver;
  • le audizioni al Senato, che offriranno una lettura concreta delle intenzioni su inflazione, lavoro e regolamentazione bancaria;
  • la reazione immediata della curva dei Treasury a 2 e 10 anni, vero termometro della credibilità attribuita dai mercati al nuovo presidente.

Non meno importante sarà osservare il rapporto di forza tra Fed, Tesoro e Casa Bianca: segnali di frizione o, all’opposto, di eccessivo allineamento politico influenzeranno in modo diretto il premio al rischio richiesto dagli investitori internazionali su dollaro e asset americani.

 

 

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