Se si vuole comprendere quanto l’incertezza stia rallentando non solo i mercati finanziari e le imprese, ma anche l’azione delle Banche centrali, è utile volgere lo sguardo al Canada. Il Paese nordamericano, vicino di casa degli Stati Uniti, è uno dei più colpiti dalla recente politica protezionistica dell’amministrazione Trump, in particolare per quanto riguarda i dazi commerciali.
Inflazione in rallentamento, ma tassi fermi
L’ultima riunione della Bank of Canada si è svolta all’indomani della pubblicazione del dato sull’inflazione di marzo, che ha registrato un incremento del 2,3% su base annua, in calo rispetto al 2,6% di febbraio. In un contesto del genere, gli operatori si attendevano un possibile taglio dei tassi di interesse, ma la banca centrale ha scelto di mantenerli fermi al 2,75%.
Il governatore della Banca centrale ha motivato la decisione spiegando che l’incertezza legata alla politica commerciale statunitense rappresenta un elemento di forte cautela. Le barriere doganali imposte da Washington potrebbero infatti generare un aumento temporaneo dei prezzi, nonostante il trend generale di raffreddamento dell’inflazione.
Secondo la banca centrale, solo quando l’effetto transitorio di questo incremento sarà riassorbito, sarà possibile riprendere un percorso di allentamento monetario. La BoC ha inoltre definito il range dei tassi neutrali per il prossimo anno tra il 2,25% e il 3,25%, fornendo una guida prospettica sul punto di equilibrio della politica monetaria.
L’eventualità di una recessione – al momento ritenuta improbabile – potrebbe tuttavia costringere la banca centrale ad agire in anticipo sui tassi. Per ora, prevale un atteggiamento attendista, in linea con quello espresso anche dalla Federal Reserve americana.
Powell tra equilibrio e pressioni politiche
Anche Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, ha sottolineato la necessità di mantenere i tassi stabili più a lungo per valutare gli effetti dei recenti dati macroeconomici. Pur ribadendo l’indipendenza della Fed, Powell ha avvertito del rischio di un rimbalzo temporaneo dell’inflazione negli Stati Uniti, in un contesto ancora incerto sul fronte della crescita economica.
Le dichiarazioni non sono piaciute al presidente Trump, che su Truth Social ha criticato Powell per la sua presunta lentezza nel tagliare i tassi, nonostante l’attuale raffreddamento dell’inflazione. Trump ha comunque stemperato gli animi nelle ultime ore, precisando che non intende mandare via Powell dalla Fed prima della fine del suo mandato.
I livelli chiave sul dollaro canadese
In questo scenario, il dollaro canadese si mostra poco attraente per gli investitori. La valuta ha perso terreno non solo nei confronti del dollaro USA, ma anche – e soprattutto – rispetto all’euro. Il cambio EUR/CAD ha recentemente raggiunto l’area di 1,60, un livello che in passato (2015 e 2020) aveva rappresentato una resistenza significativa per l’euro.
Il superamento deciso delle soglie di 1,50 e 1,52 ha aperto la strada verso questi massimi, che ora si configurano come resistenze tecniche chiave. Un’eventuale rottura della resistenza a 1,60 potrebbe proiettare il cambio verso quota 1,75, livelli che non si vedevano dalla crisi finanziaria globale del 2008. Uno scenario di questo tipo sancirebbe un ulteriore indebolimento strutturale della valuta canadese.
Dal punto di vista tattico, l’attuale debolezza del dollaro canadese potrebbe rappresentare un’opportunità d’ingresso per posizioni long, ma resta fondamentale attendere segnali chiari di inversione. Un doppio massimo accompagnato da una figura di inversione su base settimanale, ad esempio, potrebbe fornire una solida base per costruire posizioni rialziste sul CAD.
Il primo target tecnico si colloca in area 1,52, con prospettive più ambiziose in caso di rottura decisa dei livelli chiave. Perché uno scenario pro-dollaro canadese si realizzi concretamente, sarà necessario un miglioramento del contesto geopolitico e commerciale tra USA e Canada. Inoltre, una ripresa sostenuta dei prezzi delle materie prime – di cui il Canada è grande esportatore – rappresenterebbe un ulteriore catalizzatore a favore della valuta nazionale.