Il principio della parità dei poteri d’acquisto è una metrica molto utilizzata in campo valutario per stimare se una certa valuta è sopravvalutata o sottovalutata rispetto ad un’altra.
Il metro di giudizio viene tarato su un paniere di beni e servizi di utilizzo comune che dovrebbero avere lo stesso prezzo in ogni parte del mondo, ma che giustificano la loro differenza proprio con le oscillazioni valutarie. Spesso viene portato il Big Mac Index come esempio concreto di analisi della parità dei poteri d’acquisto perché il panino più celebre del mondo dovrebbe avere lo stesso prezzo di listino a New York come a Londra oppure Tokyo.
La realtà non è però questa e differenze fiscali, di accesso alle materie prime, di barriere all’ingresso e tante altre peculiarità tipiche di ogni Paese rendono il PPP (Purchasing Power Parity) uno strumento non perfetto soprattutto per catturare movimenti valutari di breve periodo. Indubbiamente più significativa la sua valenza nel lungo periodo.
Secondo le metriche dell’Ocse l’euro oggi è una divisa che vanta una spiccata sottovalutazione rispetto ad un lotto di valute del mondo sviluppato.
Come ad esempio il franco svizzero dove la sottovalutazione supera il 50%, ma anche il dollaro americano il cui valore è superiore di oltre il 30% la teorica parità dei poteri d’acquisto. Il lotto delle divise scandinave (NOK e SEK) assieme a sterlina inglese e dollaro australiano vantano una sopravvalutazione nell’ordine del 20% circa. Questo significa che nei prossimi anni l’euro dovrebbe rivalutarsi convergendo verso la teorica parità.
La sopravvalutazione dell'euro impone la copertura del rischio cambio
Lo yen giapponese sembra essere secondo il PPP una divisa solo leggermente sottovalutata rispetto all’euro per circa il 10%, mentre più generosi sarebbero gli sconti offerti da alcune valute emergenti dell’est Europa come zloty polacco e corona ceca con percentuali di sottovalutazione nell’ordine di quasi il 30%.
Va detto che storicamente le valute emergenti mantengono anche nel lungo periodo percentuali di sottovalutazione strutturale collegate all’ovvio premio al rischio richiesto dal mercato. Ad oggi la lira turca risulterebbe sottovalutata di oltre il 70%, il rand sudafricano del 45%, il peso messicano del 30% sempre contro euro.
Gli investitori orientati ad utilizzare i propri risparmi su divise oggi considerate sopravvalutate dovrebbero di conseguenza essere molto cauti nel loro approccio se questo fosse orientato a mantenere, ad esempio, obbligazioni in portafoglio per molto tempo; la componente valutaria potrebbe rendere l’esito finale dell’investimento non positivo quando misurato in euro. In questi casi la copertura (hedged) del rischio cambio sembra essere una delle soluzioni preferibili per scongiurare il rischio di acquistare currencies troppo care. E l’euro in questo momento non è una valuta cara in termini relativi.