Donald Trump è tornato ad agitare le acque del commercio internazionale puntando il dito contro la Cina e rinnovando la sua retorica protezionista. In una conferenza stampa alla Casa Bianca, il presidente ha affermato che la Cina “è diventata ricca grazie a chi era alla Casa Bianca prima di me”, sostenendo inoltre che il deficit commerciale con Pechino avrebbe raggiunto “i mille miliardi di dollari”. Sulla scia di questo inasprimento dei rapporti tra i due Paesi, l'indice Hang Seng di Hong Kong ieri ha registrato un tonfo di oltre 13 punti percentuali per poi salire di un modesto 1,5% nella giornata odierna.
USA-Cina: i numeri raccontano un’altra storia
Secondo i dati ufficiali del governo statunitense, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina nel 2024 si è attestato a 263 miliardi di dollari, una cifra significativa, ma ben lontana dal trilione (mille miliardi) citato da Trump.
Fonte: U.S. Census Bureau of Economic Analysis
Lo squilibrio commerciale riflette importazioni dalla Cina per 462 miliardi di dollari, a fronte di esportazioni statunitensi verso Pechino per circa 200 miliardi, trainate da servizi, prodotti chimici, soia e petrolio.
Il deficit commerciale complessivo degli Stati Uniti nel 2024 ha toccato i 918 miliardi di dollari, in calo rispetto al record di 944 miliardi nel 2022, grazie anche al contributo positivo del surplus nei servizi come viaggi e consulenza finanziaria.
Un confronto storico e politico
Se si osserva l’evoluzione storica, il deficit commerciale USA-Cina ha iniziato a crescere esponenzialmente negli anni ‘90, dopo l’ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization). Questo accesso privilegiato ai mercati internazionali è stato un punto di svolta per l’economia cinese, che ha visto una rapida industrializzazione. Di pari passo, gli Stati Uniti hanno registrato un calo del 20% nei posti di lavoro manifatturieri tra il 2000 e il 2007.
Nel 2018, l’amministrazione Trump ha introdotto forti dazi sui beni cinesi, con l’intento di ridurre lo squilibrio commerciale. Queste misure, mantenute in gran parte anche da Biden, hanno portato a una riduzione del disavanzo con la Cina rispetto al picco storico di 378 miliardi di dollari.
La nuova minaccia di dazi e la reazione cinese
Trump non intende fermarsi. In caso di mancato ritiro delle contromisure cinesi, ha minacciato un incremento del 50% sui dazi esistenti, rilanciando così una possibile escalation. La risposta di Pechino non si è fatta attendere: “La pressione e le minacce non sono il modo giusto di dialogare con la Cina. Difenderemo con fermezza i nostri diritti e interessi legittimi”, ha dichiarato Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington.
Le tensioni commerciali tra le due principali economie mondiali non sono prive di conseguenze. In passato, la guerra dei dazi ha contribuito alla volatilità dei mercati e a perdite di trilioni in capitalizzazione. Inoltre, il fenomeno del “transshipping” – ovvero l’invio dei prodotti cinesi attraverso Paesi terzi come Vietnam o Messico per eludere i dazi – rappresenta un’altra variabile che complica l’efficacia delle politiche protezioniste.
In conclusione, il ritorno della narrativa “America First” rischia di riportare in primo piano le tensioni tra USA e Cina, con effetti non solo economici ma anche geopolitici. Se da un lato è vero che la Cina ha beneficiato dell’integrazione nel commercio globale, è altrettanto vero che i dati reali smentiscono l’iperbole di Trump sul deficit. Una strategia commerciale efficace non può basarsi su slogan, ma su un’analisi accurata degli squilibri reali e sull’equilibrio tra protezione industriale e cooperazione internazionale.