A partire dal 1° ottobre entrerà in vigore un nuovo pacchetto tariffario firmato dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Al centro delle misure spicca il settore farmaceutico, con dazi fino al 100% sui medicinali importati, a meno che le aziende non stiano già costruendo stabilimenti produttivi in territorio americano. In questo articolo e nella videoanalisi allegata, vedremo nel dettaglio cosa comporta tutto questo.
Dazi USA su farmaci: i dettagli della misura
Il provvedimento prevede che i dazi si applichino ai farmaci brandizzati e coperti da brevetto. L’unica eccezione riguarda le multinazionali che abbiano già avviato concretamente la costruzione di nuovi impianti negli Stati Uniti. In tutti gli altri casi, dal 1° ottobre i prezzi all’importazione dei medicinali potrebbero raddoppiare.
Oltre alla farmaceutica, la Casa Bianca ha introdotto nuove tariffe anche su altri beni durevoli: 50% su cucine e “vanities”, 30% sui mobili imbottiti e 25% sui camion pesanti.
Motivazioni ufficiali e obiettivi
Secondo Trump, la mossa è necessaria per difendere la produzione americana da produttori esteri accusati di “inondare” il mercato e per motivi di sicurezza nazionale. Il Presidente ha ribadito più volte l’urgenza di riportare negli Stati Uniti segmenti strategici della supply chain, soprattutto in un settore cruciale come quello sanitario.
Tuttavia, i dati più recenti mostrano un quadro diverso: ad agosto l’occupazione manifatturiera USA risultava inferiore di 42.000 unità rispetto ad aprile, a dimostrazione che l’obiettivo del “reshoring”, ovvero il rientro negli Stati Uniti di attività produttive che negli ultimi decenni erano state delocalizzate in paesi a basso costo, è tutt’altro che semplice.
Impatto su prezzi e inflazione
L’aspetto più critico riguarda le conseguenze sull’inflazione. Con tariffe del 100% sui farmaci importati, gli analisti stimano un possibile raddoppio dei prezzi al consumo per alcuni medicinali. Un’eventualità che rischia di alimentare la spesa sanitaria e, di riflesso, il livello generale dei prezzi.
Non è la prima volta che Trump utilizza promesse forti su questo fronte: in passato aveva ipotizzato dazi fino al 250% e addirittura promesso di abbassare i prezzi dei medicinali del 1.000%, una dichiarazione definita da molti come priva di fondamento.
La reazione della Federal Reserve e l'aspetto macroeconomico
La Federal Reserve, pur avendo finora osservato effetti più contenuti del previsto, continua a considerare i dazi un fattore di rischio per l’inflazione. Jerome Powell ha sottolineato che l’impatto delle tariffe tende a manifestarsi gradualmente lungo le filiere globali e che la Banca centrale deve mantenere la massima attenzione per non farsi trovare impreparata.
Sul fronte macroeconomico, nella stessa giornata in cui sono state annunciate le nuove tariffe, gli Stati Uniti hanno registrato una crescita del PIL al 3,8% annualizzato, il ritmo più elevato da quasi due anni. Tra i fattori che hanno sostenuto l’espansione figura anche un aumento degli acquisti anticipati da parte dei consumatori, che hanno accelerato le spese prima dell’entrata in vigore dei precedenti dazi. Questi dati ovviamente non aiutano la Banca Centrale e l'impatto di nuove tariffe potrebbe peggiorare soltanto la situazione.
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