Nel pieno delle tensioni tra Israele e Iran, con l’ombra sempre più concreta di una possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, i mercati finanziari sembrano continuare a seguire un mantra sempre più popolare tra gli investitori: “Nothing ever happens”. Questa frase – che nasce come meme ironico – riflette una dinamica ormai visibile da tempo: gli eventi geopolitici, per quanto gravi sul piano umano e mediatico, tendono ad avere effetti di breve durata sui mercati azionari globali. In questo articolo e nella video analisi allegata, ci focalizzeremo su Petrolio ed S&P 500.
Cosa ne pensano gli analisti di questa filosofia?
Secondo gli analisti, a meno che non ci siano shock improvvisi e inattesi – come fu il caso della pandemia o, più recentemente, dei dazi introdotti da Trump – la reazione del mercato tende a essere inizialmente emotiva ma rapidamente riassorbita. E i dati storici lo confermano: il grafico in basso estratto da FactSet traccia 125 anni di sell-off legati ad eventi geopolitici, mostrando che il Dow Jones in media recupera le perdite nel giro di tre settimane (con eccezione di casi più gravi).
Fonte: Factset, Carson Investment
Anche l’escalation tra Israele e Iran, con i rischi collegati alla sicurezza energetica globale, rientra in questa logica. Nonostante le minacce iraniane sulla chiusura dello Stretto di Hormuz – punto critico da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale – gli strategist, come Marko Papic di BCA Research, restano cautamente ottimisti: "Anche se l’Iran dovesse chiuderlo, durerebbe poche settimane. A quel punto, meglio farsi trovare pronti a shortare il petrolio e andare lunghi sulle azioni".
Il mercato che anticipa tutto (o quasi)
Il motivo per cui il mercato sembra ignorare le notizie più allarmanti va ricercato nell’enorme capacità di anticipazione collettiva. Come ha sottolineato Michael Antonelli (Baird), ciò che davvero muove i mercati è la sorpresa. Finché un evento è prevedibile, o rientra all’interno di scenari già scontati, la sua capacità di impatto sui prezzi è limitata. È per questo che gran parte della volatilità è spesso passeggera.
Inoltre, il comportamento degli investitori retail – come i flussi automatici nei fondi pensione e negli ETF – esercita un’azione stabilizzatrice sul mercato. Gli acquisti ricorrenti, ogni due settimane, finiscono spesso per assorbire l’eccesso di vendite da parte degli istituzionali, innescando fasi di rimbalzo sorprendenti, anche dopo eventi geopolitici gravi.
Un esempio recente è proprio quello dell'ultima seduta, dove – dopo la caduta iniziale dovuta alle parole di Trump sulla resa incondizionata dell’Iran – gli indici hanno mostrato segni di stabilizzazione, pur chiudendo in rosso: il Dow Jones ha perso lo 0,7%, l’S&P 500 lo 0,84%, e il Nasdaq lo 0,91%. Il VIX, l’indice della volatilità, è salito leggermente ma resta su livelli storicamente contenuti.
Petrolio: panico breve, strategia di lungo
Il vero protagonista dei mercati, in queste fasi di tensione, è come sempre il petrolio. La sola possibilità che l’Iran chiuda lo Stretto di Hormuz ha spinto il WTI a 74,84 dollari (+4,3%) e il Brent a 76,45 dollari (+4,4%). Tuttavia, anche in questo caso, il rally sembra alimentato più dalla speculazione a breve che da uno shock strutturale. La view dominante tra gli strategist è che qualsiasi interruzione dei flussi energetici sarebbe breve e seguita da un intervento militare, il che renderebbe questi picchi di prezzo temporanei.
Papic ha ipotizzato un potenziale spike del +50% nei prezzi del greggio, nel caso lo Stretto venisse chiuso per 2-3 settimane. Ma la sua strategia resta chiara: chi è veloce potrebbe cavalcare il rialzo iniziale, ma l’opportunità vera si nasconderebbe nel successivo rientro dei prezzi. Una classica trappola per i trend follower, ma un’occasione per i contrarian ben preparati.
Analisi tecnica: livelli chiave da monitorare
Sul piano tecnico, il WTI si avvicina ad una zona di resistenza importante compresa tra 75 e 78 dollari. Una rottura decisa sopra questi livelli potrebbe aprire spazio verso gli 83$, ma i trader più esperti faranno attenzione a eventuali divergenze sui vari oscillatori come RSI e MACD. Il supporto chiave resta in area 72$, con possibile estensione a 69$ in caso di rapida de-escalation.
Lo S&P 500, invece, resta in una fase di consolidamento rialzista. Il supporto dinamico passa per la media mobile a 50 giorni in area 5.880 punti, mentre la resistenza da monitorare resta la soglia psicologica dei 6.000. Il sentiment rimane costruttivo, ma la mancanza di sorprese positive potrebbe favorire una fase laterale nelle prossime settimane.
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