Dopo settimane di apparente calma nei mercati finanziari, l’attacco militare condotto da Israele contro l’Iran ha nuovamente riportato le tensioni geopolitiche al centro dell’attenzione degli investitori globali. Il prezzo del petrolio ha registrato un’impennata improvvisa: nella giornata di venerdì, il WTI ha guadagnato oltre il 7%, mentre il Brent ha chiuso in rialzo del 7,1%, toccando rispettivamente quota 72,98 e 74,23 dollari al barile, registrando il maggior balzo giornaliero dal marzo 2022.
Il nodo dello Stretto di Hormuz
Il principale elemento di preoccupazione per il mercato energetico è rappresentato dallo Stretto di Hormuz, una delle rotte marittime più strategiche al mondo, da cui transita circa il 20% della produzione globale di petrolio e di gas naturale liquefatto. Qualsiasi tentativo dell’Iran di ostacolarne il traffico — anche solo simbolicamente — potrebbe compromettere le forniture globali e innescare una nuova ondata inflattiva a livello mondiale.
La possibilità di un blocco totale resta remota, considerando che anche in passato l’Iran ha evitato un'escalation militare diretta su larga scala. Tuttavia, secondo gli analisti di JP Morgan, un’interruzione effettiva dello Stretto potrebbe spingere il prezzo del greggio fino a 120 dollari al barile, facendo risalire l'inflazione USA fino al 5%.
Politica monetaria ed i rischi per i mercati
L’aumento del prezzo del petrolio rischia di compromettere i progressi fatti sull’inflazione negli ultimi mesi. Il dato di maggio sul CPI statunitense ha mostrato un raffreddamento, con un +2,4% annuo per il dato headline e un +2,8% per il core. Tuttavia, un rialzo persistente del costo dell’energia potrebbe costringere la Federal Reserve a ritardare i futuri tagli dei tassi, rinviando così una delle principali fonti di supporto per l’equity.
Nonostante il forte rialzo del petrolio e il calo dei principali indici azionari (Dow Jones -1,8%, Nasdaq -1,3%, S&P 500 -1,1%), la reazione dei mercati azionari è stata relativamente contenuta. Secondo alcuni analisti, la possibilità di un attacco era stata in parte già scontata dai mercati dopo i segnali lanciati dal governo americano in settimana.
Tuttavia, i prossimi mesi potrebbero essere caratterizzati da maggiore volatilità. Oltre ai rischi geopolitici, incombono altri fronti: il ritorno della pressione inflattiva, il possibile rallentamento del mercato del lavoro USA e le incognite legate alla politica commerciale di Trump e al budget federale, che potrebbe subire ritardi in Congresso.
Prospettive tecniche per il WTI e il Brent
Dal punto di vista tecnico, il rimbalzo del WTI da area 68-69 dollari è stato particolarmente violento, spingendo il contratto di luglio sopra quota 72. La prossima area di resistenza chiave è tra 75 e 76,50 dollari, livello che coincide con i massimi di inizio maggio. Per il Brent, i livelli di attenzione si concentrano su 76,50–78 dollari, oltre i quali si aprirebbe lo spazio per testare nuovamente la soglia psicologica degli 80 dollari.
Un ritorno della tensione sullo Stretto di Hormuz o una limitazione delle esportazioni iraniane (dirette soprattutto verso Cina, India e Corea del Sud) potrebbe fungere da catalizzatore per ulteriori rialzi.
Il conflitto tra Israele e Iran ha riportato in primo piano il legame cruciale tra geopolitica e materie prime. Per gli investitori, si apre ora una fase di grande incertezza, in cui sarà fondamentale monitorare tanto gli sviluppi sul fronte Mediorientale quanto le reazioni delle Banche centrali. Il petrolio è tornato protagonista e con esso, i timori su inflazione e crescita economica.
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