Il boom dell’intelligenza artificiale ha fatto crescere quest’anno le azioni del settore a Wall Street più del resto del mercato. Le Big Tech hanno previsto spese enormi per quest’anno e per il futuro, finalizzate soprattutto alla costruzione di data center, infrastrutture di rete e aggiornamenti dei modelli legati alla nuova tecnologia. Alphabet, Amazon, Microsoft e Meta Platforms insieme hanno programmato circa 400 miliardi di dollari di capex nel 2025, mentre per i prossimi 12 mesi gli analisti stimano un incremento ad almeno 440 miliardi di dollari.
Se da un lato questa esposizione ha fatto salire la temperatura in Borsa - con gli investitori che hanno rivolto attenzione a tutte le società operative nel settore, dai chatbot AI ai chip, ai data center, ai software - dall’altro ha accresciuto la preoccupazione che la quantità di denaro spesa non generi ritorni adeguati in termini di ricavi e profitti. Questo è diventato un punto nevralgico nelle trimestrali delle aziende che investono nell’intelligenza artificiale. In poche parole, il mercato non si accontenta più delle promesse, ma vuole vedere i numeri.
Intelligenza artificiale: chi sale e chi scende
A Wall Street si è dunque verificato un cambiamento rispetto a qualche mese fa: i trader sono diventati improvvisamente più selettivi riguardo ai potenziali beneficiari del boom dell’intelligenza artificiale.
Tra i titoli più favoriti c’è senza dubbio Alphabet, le cui azioni sono aumentate di quasi il 60% nella seconda metà del 2025, soprattutto dopo che la società ha segnalato una crescita migliore del previsto della sua unità Google Cloud nell’ultimo trimestre. Le azioni Alphabet hanno attirato anche l’attenzione di Warren Buffett, con la Berkshire Hathaway che la scorsa settimana ha comunicato in un deposito normativo di possedere 17,85 milioni di azioni, per un valore di 4,93 miliardi di dollari (Berkshire Hathaway sorprende con una nuova posizione in Alphabet).
Un’altra azione amata dagli investitori è Micron Technology, produttore di chip di memoria come DRAM, NAND Flash, SSD e HBM (High Bandwidth Memory). L’impennata della domanda dei suoi chip utilizzati nell’intelligenza artificiale dovrebbe più che raddoppiare i profitti quest’anno. Le azioni sono quasi triplicate, raggiungendo un livello record.
Alcune società, però, sono state penalizzate. Tra queste CoreWeave, fornitore di servizi informatici. L’azienda ha stipulato importanti contratti con player come OpenAI, ma opera in perdita ed è schiacciata dai debiti. La scorsa settimana il titolo è crollato di circa il 26%, registrando la peggiore performance settimanale dal debutto in Borsa a marzo 2025. Rispetto al prezzo IPO il valore di mercato è quasi raddoppiato, ma dai massimi di giugno si è più che dimezzato.
Un’altra azienda con un percorso simile è Oracle. Grazie alla crescita della divisione cloud, il titolo era balzato del 36% in un solo giorno a settembre, dopo che la società aveva previsto 144 miliardi di dollari di ricavi annui entro il 2030 per l’unità. Una cifra enorme, considerando che nell’attuale anno fiscale le entrate sono pari a 18 miliardi di dollari. Da quel giorno, però, le azioni Oracle sono scese di circa un terzo, complice l’aumento delle spese necessarie per raggiungere tali obiettivi, finanziate soprattutto con l’indebitamento. Il free cash flow di Oracle dovrebbe essere negativo di 9,7 miliardi di dollari quest’anno, in linea con il rosso dello scorso anno, il primo dal 1990. Si prevede inoltre che il deficit aumenterà nei due anni fiscali successivi, con un passivo di 24,3 miliardi di dollari nel 2028.
“Il mercato sta rivalutando le cose in questo momento e le società che stavano volando in alto, ma non avevano molto flusso di cassa, sono state colpite duramente”, ha detto Joe Tigay, gestore di portafoglio del Rational Equity Armor Fund, che detiene partecipazioni in numerosi titoli AI.
Dello stesso avviso è Brian Levitt, Chief global market strategist di Invesco, secondo cui “ci sono aziende che stanno effettuando spese significative, ma non sono altrettanto solide dal punto di vista del flusso di cassa”. Questo significa che “potrebbero aver bisogno di assumere debito significativo per finanziare i loro investimenti futuri”. Questo funziona, ha aggiunto, “finché non si verifica un’interruzione nel mercato del credito. E credo che il mercato stia diventando più consapevole di questo rischio”.
Il punto ora è capire se il ridimensionamento dei titoli sia temporaneo oppure destinato a durare. Gene Goldman, Chief investment officer di Cetera, ritiene che le vendite concentrate nelle società con bilanci più deboli ricordino la bolla delle dot-com. “Sono stati i nomi non redditizi, quelli non solidi, a essere venduti in modo più indiscriminato quando il mercato ha capito chi sarebbero stati i veri vincitori”, ha affermato.