I mercati attendono con trepidazione la riunione della prossima settimana della
Federal Reserve che inaugurerà il ciclo dei tagli ai tassi di interesse. Negli ultimi tempi,
l'umore del mercato è stato altalenante. I brutti dati sull'occupazione di venerdì 6 settembre avevano spinto gli investitori a scontare una riduzione del costo del denaro di mezzo punto percentuale, salvo fare un passo indietro per un più moderato taglio dello 0,25% a seguito dei confortanti dati sull'inflazione dello scorso mercoledì. Da qualche giorno però, le indicazioni arrivate dai dati macro e le dichiarazioni di importanti esponenti - ieri l'influente ex presidente della Fed di New York,
Bill Dudley, ha detto in un forum a Singapore che "ci sono serie motivazioni a favore di un taglio di 50 punti base" - hanno nuovamente fatto propendere per un'azione più aggressiva. Questa altalena comunque potrà essere interrotta probabilmente solo mercoledì 18 settembre, quando sarà pubblicato il comunicato ufficiale dai funzionari dell'istituto monetario.
La posizione della Fed avrà un impatto diverso sulle azioni a Wall Street in funzione di quanto sarà irruenta. Un taglio dello 0,5% probabilmente non sarebbe ben accolto, per quanto di solito costi di finanziamento più bassi siano apprezzati dai mercati. In realtà, questa volta, un approccio così forte dell'autorità centrale verrebbe visto come il riflesso di una preoccupazione concreta che l'economia americana stia per precipitare in recessione. Viceversa, un taglio più moderato trasmetterebbe il messaggio che i timori avanzati da molti dopo alcuni dati macro siano esagerati. Per comprendere la reazione del mercato, "bisogna pensare al motivo per cui la Fed sta tagliando i tassi", ha affermato Lara Castleton di Janus Henderson Investors.
Fed: come si comportano le azioni dopo i tagli
Un punto di riferimento importante potrebbe essere vedere come le azioni si sono comportate nei precedenti 4 cicli dei tagli da parte della Fed. Nell'anno successivo dopo l'inizio del ciclo di allentamento si sono avuti risultati a volte molto diversi. Nel 1995,
l'indice Morningstar US Market è salito del 21,58% a 12 mesi dall'inaugurazione della prima riduzione dei tassi. Il benchmark però è
crollato del 10,63% dopo un anno da quando la Fed ha iniziato a tagliare nel 2001 come reazione allo scoppio della
bolla dot-com. Un risultato peggiore si è avuto dopo un anno dal primo taglio avvenuto il 18 settembre 2007 in quanto di mezzo c'è stata la grande crisi del 2008. Allora il Morningstar US Market Index è
scivolato del 17,77%. Invece nell'ultimo ciclo iniziato il 31 luglio 2019, l'indice dopo 365 giorni ha realizzato una
performance dell'11,43%.
Che conclusione se ne può trarre? Sicuramente, come afferma, Jeff Buchbinder, Chief equity strategist di LPL Financial, "ogni ciclo è diverso dall'altro", perché diversi sono i fondamentali di mercato e gli atteggiamenti della Fed. Giocoforza, anche stavolta bisognerà cogliere la particolarità del momento storico che stiamo vivendo. Come detto, il mercato potrebbe reagire in maniera più positiva se percepisse una Banca centrale fiduciosa che desse segnali di controllo della situazione, progettando un atterraggio morbido per l'economia. Al contrario, aumenterebbero l'incertezza e il nervosismo nel caso pensasse a un'autorità centrale reazionaria in mezzo a una minaccia di recessione.
In tutto questo però non bisogna trascurare il fatto che il taglio dei tassi non racconta tutta la storia dell'andamento del mercato nei 12 mesi successivi. Nel frattempo ci sono gli utili delle società, che secondo Denise Chisholm, direttore della strategia di mercato quantitativa di Fidelity, sono "un indicatore più affidabile nelle previsioni". A suo avviso, "quando la crescita dei profitti è positiva e in accelerazione e i tassi sono in calo, il mercato tende a essere positivo nei successivi 12 mesi".