Michael Burry attacca ancora Nvidia, confermando tutte le critiche rivolte la scorsa settimana. In un post su X, l’ormai ex gestore di Scion Asset Management - che ha chiuso i battenti questo mese - ha ribadito tutte le sue affermazioni come controrisposta alla replica di Nvidia.
Riavvolgendo il nastro: Burry aveva lanciato accuse forti al gigante dei chip, sostenendo che compensasse l’effetto diluitivo derivante dall’assegnazione di azioni ai dipendenti con il riacquisto di azioni proprie, un meccanismo che - secondo lui - aumenterebbe la spesa aziendale.
Nvidia ha risposto contestando le cifre e i motivi alla base di questo modus operandi riportati da colui che aveva previsto la Grande Crisi del 2008. In pratica, l’azienda di Santa Clara ha dichiarato di aver riacquistato 91 miliardi di dollari di azioni dal 2018, e non 112,5 miliardi come sostenuto da Burry. L’errore di quest’ultimo deriverebbe dal fatto che non avrebbe incluso le tasse legate alle Restricted Stock Units. Nvidia ha inoltre difeso la propria politica, ritenendo che i dipendenti beneficiano di un prezzo delle azioni in crescita, ma questo non significa che quanto loro concesso fosse troppo generoso o inefficace.
Per quanto riguarda i presunti trucchi contabili sollevati da Burry - con riferimento all’uso di veicoli off-balance come faceva Enron - Nvidia ha negato di attuare pratiche di questo genere, ribadendo che il suo business è “economicamente sano” e che la sua rendicontazione è “completa e trasparente”.
L’azienda si è difesa anche dalle accuse relative agli accordi circolari con altre società, come OpenAI, secondo cui la tecnica del “give and take deals” serva solo a gonfiare i ricavi. Secondo Nvidia, i suoi investimenti strategici rappresentano solo una piccola parte delle entrate aziendali.
Burry, però, ha respinto le “giustificazioni” fornite da Nvidia, promettendo di pubblicare ulteriori riflessioni in merito. Al di là del botta e risposta tra il protagonista del “Big Short” e l’azienda più capitalizzata al mondo, esiste una preoccupazione reale tra gli investitori, ovvero che una bolla legata all’intelligenza artificiale sia sul punto di esplodere.
Burry paragona il boom dell’AI all’era delle dot-com degli anni ’90, la cui conclusione è nota. “I cinque cavalieri pubblici dell’attuale boom dell’AI - Microsoft, Google, Meta, Amazon e Oracle - sono affiancati da diverse startup che promettono quasi 3.000 miliardi di dollari di spese per infrastrutture AI nei prossimi tre anni”, ha scritto. “E ancora una volta c’è un Cisco al centro di tutto. Si chiama Nvidia”.
Nvidia: l’allarme che arriva da Google
Le azioni Nvidia sono in calo nelle contrattazioni pre-market di Wall Street, a seguito di un rapporto di The Information secondo cui Meta Platforms sarebbe in trattative con Alphabet per utilizzare i chip AI di Google, noti come unità di elaborazione tensoriale (TPU), nei propri data center a partire dal 2027. Meta potrebbe anche noleggiare la capacità di calcolo dei chip dalla divisione cloud di Google.
Questo sviluppo potrebbe rappresentare un colpo per Nvidia, poiché il colosso di Menlo Park spende miliardi di dollari per i potenti processori del più grande progettista al mondo. Un accordo con Google creerebbe un’alternativa che potrebbe impattare sui ricavi di Nvidia. Un accordo simile era già stato siglato tra Google e Anthropic, alimentando riflessioni sulla posizione dominante di Nvidia.
“Il probabile utilizzo da parte di Meta delle TPU di Google, già adottate da Anthropic, mostra che i fornitori terzi di grandi modelli linguistici probabilmente sfrutteranno Google come fornitore secondario di chip acceleratori per l’inferenza nel breve termine”, hanno scritto Mandeep Singh e Robert Biggar, analisti di Bloomberg Intelligence.
“Il capex di Meta, pari ad almeno 100 miliardi di dollari entro il 2026, suggerisce che l’azienda spenderà almeno 40-50 miliardi di dollari per la capacità dei chip di inferenza il prossimo anno. La crescita del consumo e del backlog di Google Cloud potrebbe accelerare rispetto ad altri hyperscaler e collaudare i neo-cloud grazie alla domanda proveniente da clienti enterprise che vogliono utilizzare le TPU e i modelli Gemini su Google Cloud”.