Le
azioni Apple stanno attraversando una crisi che si è vista poche volte negli ultimi anni. Con la perdita del 3,02% nell'ultima seduta a Wall Street, il titolo ha chiuso un ciclo di
otto sessioni consecutive in rosso accumulando un passivo di 8,29 punti percentuali. Il sell-off è il più lungo da gennaio 2022. Se si considera il periodo che inizia il 1° gennaio 2025, le azioni del gigante dell'iPhone hanno bruciato il 22% di capitalizzazione, sostenendo
la peggiore performance tra le Magnifiche Sette di Wall Street.
Tra l'altro, dal punto di vista tecnico, il titolo ha rotto le sue medie mobili chiave e non è ancora in una situazione di ipervenduto. Quanto alla volatilità rappresentata dal CBOE Apple VIX, c'è stato un balzo di oltre il 30% la scorsa settimana. Insomma, il quadro non è dei migliori e gli investitori cominciano a preoccuparsi su cosa stia accadendo alla seconda società più capitalizzata del mondo che tutti volevano avere nel proprio portafoglio fino a poco tempo fa.
Azioni Apple: la minaccia costante di Trump
Non c'è un solo fattore che spiega cosa stia portando il mercato ad allontanarsi dalle azioni Apple. Fondamentalmente, il colosso di Cupertino sta risentendo della concorrenza in Paesi chiave come la Cina di aziende come Samsung, Huawei e Xiaomi. L'erosione della quota di mercato che ne è derivata è figlia di un rallentamento delle vendite, in un mercato che fa fatica a riprendersi.
Attualmente, però, gli investitori sono angosciati da una vera spada di Damocle che pende sulla testa di Apple. Si tratta della
minaccia del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi del 25% se l'azienda non sposterà la produzione negli Stati Uniti. Sarebbe un colpo letale per la società che assembla i suoi dispositivi in Cina e India sfruttando un costo della manodopera più basso e poi li spedisce in Usa.
Trump non ha digerito in particolare il flirt del gigante dell'iPhone con l'India in ottica di diversificazione dalla Cina. Stando agli obiettivi dichiarati,
Apple intende trasferire il 90% della produzione dell'iPhone negli stabilimenti indiani entro la fine del 2025 e il suo assemblatore Foxconn investirà 1,5 miliardi di dollari per costruire una fabbrica in loco (
Apple vs Trump: nuovo impianto Foxconn in India). Secondo i dati forniti dalla società di analisi di mercato singaporiana Canalys, nel mese di aprile, gli iPhone spediti dall'India in direzione degli Stati Uniti sono aumentati del 76% su base annua a 3 milioni di unità.
Finora il capo della Casa Bianca ha risparmiato Apple dalle tariffe, esentando PC e smartphone anche se in via temporanea. Le nuove minacce hanno inasprito il clima e, benché alcuni analisti siano scettici sul fatto che i dazi entreranno realmente in vigore, il rischio sussiste e qualsiasi applicazione dei prelievi potrebbe pesare sui margini e i guadagni dell'azienda.
Giocoforza, Apple trasferirebbe i maggiori costi sui consumatori. Questo rappresenterebbe un grosso problema, perché anche se Apple ha tradizionalmente una grande capacità di determinazione dei prezzi, in un momento in cui la crescita è tiepida e le offerte di intelligenza artificiale presentano delle difficoltà, la domanda potrebbe risentirne.
"La minaccia può essere politicamente motivata, ma i mercati non possono ignorare il rischio principale", ha detto Haris Khurshid, Chief investment officer di Karobaar Capital. "Questo tipo di retorica tariffaria, anche se non dovesse materializzarsi, intacca la fiducia degli investitori. Non si può gestire un'azienda da 3.000 miliardi di dollari con una granata commerciale appesa sopra la testa".
Il problema è che gli strumenti a disposizione di Apple per accontentare Trump non sono molti. Trasferire la produzione degli iPhone negli Stati Uniti comporterebbe un lievitamento di costi in grado di fare altrettanti danni dei dazi commerciali. Il mese scorso, Bank of America ha calcolato che i costi degli iPhone potrebbero aumentare del 90% o più se fossero prodotti negli Stati Uniti.
Inoltre, secondo le stime di Bloomberg Intelligence, vista la complessità della catena di approvvigionamento di Apple, inclusi materiali, assemblaggio, manodopera e macchinari, ci vorrebbero diversi trimestri per spostare l'assemblaggio dell'iPhone negli Stati Uniti.
"L'idea di una produzione di iPhone completamente nazionale è una favola che non è fattibile", ha asserito Daniel Ives, analista di Wedbush . A suo avviso, i telefoni Apple costerebbero circa 3.500 dollari se prodotti in Usa. Per Aaron Rakers, analista di Wells Fargo Securities, la società dovrebbe aumentare i prezzi di 250-300 dollari per dispositivo al fine di salvaguardare i margini lordi.
Tuttavia, c'è chi come Samik Chatterjee, analista di JP Morgan Chase, vede quanto sta accadendo in chiave positiva. Secondo il suo punto di vista, se tutti i concorrenti del settore degli smartphone dovessero affrontare lo stesso ostacolo, emergerebbe il potere di determinazione dei prezzi di Apple con i consumatori e i fornitori. Questo "posizionerebbe l'azienda favorevolmente rispetto ai competitor, piuttosto che in svantaggio".