La strategia Smart Beta nasce dall'esigenza di migliorare i rendimenti di mercato generati da un approccio completamente passivo. Negli ultimi decenni si è registrato nei mercati finanziari un costante trasferimento di flussi dalla gestione patrimoniale attiva a una indicizzata, ossia che riproduce esattamente indici di Borsa.
Questo fenomeno si è materializzato via via che è apparso evidente come per i gestori patrimoniali risultasse quasi impossibile nel lungo periodo fare meglio del mercato. Nel 2006 il leggendario investitore
Warren Buffett lanciò una scommessa suggestiva mettendo sul piatto 1 milione di dollari che nessun gestore dei fondi sarebbe stato in grado di battere l'indice
S&P 500 nell'arco di 10 anni. Chi accettò la scommessa fu sottoposto a un'umiliante sconfitta. Ma non c'era forse nemmeno bisogno della sfida dell'oracolo di Omaha per certificare una realtà emersa da numerosi studi compiuti negli anni dai ricercatori di tutto il mondo.
Limitarsi a investire in un fondo indicizzato nel lungo periodo dà quasi la garanzia di buoni rendimenti. Ad esempio, farlo con l'indice S&P 500 attraverso un fondo con costi molto bassi di gestione comporta un rendimento annuo superiore al 10%, che dopo un certo numero di anni permette di ottenere un bel gruzzoletto grazie all'interesse composto (in particolar modo se si reinvestono i dividendi). Il tentativo però di andare oltre un guadagno relativamente contenuto ha spinto alcuni economisti e teorici dei mercati a elaborare una strategia che parte da un approccio passivo ed effettua delle modifiche. Si tratta della strategia Smart Beta.
Smart Beta: ecco di cosa si tratta
Il concetto che bisogna aver presente e da cui partire per spiegare questa strategia è il Beta di portafoglio. Si tratta di un coefficiente che indica quanto il rendimento di un portafoglio di titoli sia legato all'andamento generale del mercato. Il Beta va da valori compresi tra 1 e -1. Quanto più è vicino a 1, tanto maggiore è la correlazione con il mercato.
Ad esempio, se è di 0,9, un aumento del rendimento del mercato del 10% comporta un aumento del rendimento del portafoglio del 9%. Un portafoglio che riproduce un benchmark di mercato ha un Beta prossimo a 1. Ovviamente, quanto più basso è il Beta, tanto minore è la correlazione con quanto accade nel mercato. In caso di Beta negativo, la correlazione è inversa, ossia se cresce il mercato diminuisce il portafoglio di investimento e viceversa.
La strategia Smart Beta non ha una definizione precisa, perché parte da un fondo indicizzato, quindi con alto Beta, e lo "aromatizza", ossia fa alcune modifiche - quindi aggiunge alcuni "aromi" - per rendere l'investimento più efficiente sotto il profilo rischio-rendimento. I fautori di questa strategia, insomma, sostengono che la pura indicizzazione, dove ogni azienda ha un peso dato dalla dimensione della capitalizzazione totale della stessa, non sia una strategia ottimale.
Invece, c'è la possibilità di ottenere un miglior compromesso rischio-rendimento tramite l'orientamento del portafoglio in una certa direzione facendo leva su fattori come il valore, la crescita, la dimensione, la forza, la redditività e la liquidità di un'azienda.
Quattro aromi
Secondo i cultori della strategia Smart Beta, ci sono quattro "aromi" principali che è possibile aggiungere a un fondo indicizzato per renderlo più efficiente in termini di maggiore rendimento atteso tenuto conto del rischio:
- valore;
- dimensione;
- inerzia dei mercati;
- basso beta
Il valore è un fattore che deriva dall'approccio seguito dalla teoria di Benjamin Graham e del suo discepolo Warren Buffett, secondo la quale il mercato non è efficiente ed è possibile trovare titoli che non sono valutati correttamente (o meglio sono sottovalutati). Questa scuola di pensiero stride con quella dei "comportamentisti", per cui i prezzi si determinano per effetto del comportamento - molto spesso irrazionale - degli investitori.
Come tutto questo si applica alla strategia Smart Beta? Inclinando il portafoglio verso azioni che hanno un rapporto prezzo/utili attesi relativamente basso, contando sul fatto che il mercato non abbia valutato a pieno la capacità dell'azienda di produrre utili in futuro. L'approccio è anche chiamato GARP (growth at a reasonable price o crescita a prezzo ragionevole). In pratica, meglio avere in portafoglio una certa quantità di titoli con multipli bassi, in quanto se si dovesse materializzare la crescita, sia gli utili che i multipli aumenterebbero dando agli investitori un doppio vantaggio.
La dimensione delle aziende ha una certa importanza. Per quanto si creda che le blue chip garantiscano maggiori rendimenti rispetto alle small cap in quanto più strutturate dal punto di vista economico e finanziario, le ricerche di mercato dimostrano che nel lungo periodo non è così.
I titoli più piccoli rendono di più, anche se quelli più grandi danno una maggiore percezione di sicurezza. Le piccole aziende possono essere infatti più rischiose di quelle grandi e per questa ragione offrono agli investitori un rendimento più alto. Spostare leggermente il portafoglio verso le aziende più piccole, quindi, potrebbe dare la giusta ricompensa per l'assunzione di un rischio maggiore.
Diversi studi accademici negli ultimi decenni hanno rilevato che nel mercato azionario si manifestano spesso tracce di inerzia, quantomeno in un periodo di tempo ristretto. In pratica, nel breve è più probabile rilevare aumenti dei prezzi delle azioni seguiti da ulteriori incrementi piuttosto che da cali di prezzo. Quando, invece, l'orizzonte temporale viene esteso, i prezzi sembrano regredire verso la media. Inoltre, allorché si verificano notevoli aumenti di prezzo per un periodo di mesi o anni, questi sono seguiti da brusche inversioni.
La strategia consiste nel prendere in considerazione gli ultimi dodici mesi, escludendo il più recente, ossia quello che spesso mostra una certa inversione, e considerare il rendimento medio del 30% delle azioni con le migliori prestazioni, sottraendo il rendimento medio del 30% delle azioni che hanno registrato i risultati peggiori. In questo modo si misura l'entità dell'inerzia dei mercati. Una volta assicuratosi che c'è un'inerzia, la strategia consiste nell'acquistare le azioni che hanno reso di più e vendere allo scoperto quelle con le peggiori performance.
Il presupposto del basso beta, nasce dal fatto che svariate ricerche hanno dimostrato che le azioni alto beta non garantiscono rendimenti più alti. Dato che i titoli a basso beta hanno una volatilità più contenuta, c'è la possibilità di ottimizzare il rischio-rendimento di portafoglio. Come? Acquistando a margine le azioni a basso beta e quindi portando il rischio al livello di un portafoglio a beta più alto, ma ottenendo un rendimento maggiore.