Le quotazioni del petrolio scendono ancora: il Brent che in questo inizio settimana precipita del 2,76% a 81,40 dollari al barile, mentre il WTI perde il 2,85% a 74,10 dollari. Per rivedere questi livelli di prezzo bisogna tornare a gennaio di quest'anno, quando ancora la guerra Russia-Ucraina non era ancora scoppiata.
Il mercato petrolifero entra in una settimana cruciale, perché a partire dall'inizio della prossima scatterà l'embargo da parte dell'Unione Europea al petrolio russo trasportato via mare e il divieto per le compagnie di assicurazione europee di assicurare le navi che trasportano il greggio proveniente da Mosca verso altri Paesi, a meno che questi ultimi non accettino un price cap stabilito dall'Occidente.
Price cap petrolio: i disaccordi dell'UE
Il punto fondamentale su cui la discussione a Bruxelles è molto accesa riguarda proprio il limite di prezzo a cui le compagnie devono far riferimento per assicurare le navi. Il G7 ha dettato le linee, ma i Paesi europei sono in disaccordo e finora una soluzione non è stata trovata. Gran parte degli Stati membri dell'UE vorrebbe un tetto di 60-65 dollari al barile, che non è troppo lontano dai valori attuali e permetterebbe alla Russia di continuare ad esportare senza ottenere quei profitti elevati che le permetterebbero di finanziare la guerra in Ucraina. In particolare, gli Stati che hanno grandi industrie marittime come Grecia, Malta e Cipro vorrebbero che il prezzo fosse abbastanza alto da assicurare il flusso commerciale del petrolio russo. Una posizione questa che trova l'appoggio degli Stati Uniti.
Tuttavia, vi sono alcuni Paesi come la Polonia che ritengono tale livello troppo elevato, perché determina una misura insufficiente per danneggiare veramente Mosca. Varsavia sostiene che un price cap a 65 dollari sia estremamente alto rispetto al costo di produzione della Russia e vorrebbe includere la misura nell'ambito di un più ampio nono pacchetto di sanzioni contro il Paese guidato da Vladimir Putin. I falchi del blocco UE non andrebbero oltre i 30-40 dollari al barile, una posizione sostenuta dal leader ucraino Volodymyr Zelensky.
La Russia dal canto suo ha fatto sapere che non venderà il suo greggio a nessuno dei Paesi che applicheranno un tetto ai prezzi, una scelta che potrebbe relegare Putin ancora più all'angolo. Tuttavia, molto dipende dai comportamenti tenuti da parte di alcune Nazioni chiave che si riforniscono di petrolio russo come Cina, India e Turchia. In particolare, Pechino potrebbe avere un ruolo decisivo, anche per via delle ristrettezze legate al Covid-19 che rischiano di frenare la domanda e contribuire ad abbassare ulteriormente il prezzo del greggio.
Petrolio: ecco cosa potrebbe succedere
La reazione del mercato ai tentativi dell'Occidente di guidare l'offerta e il prezzo del petrolio, rimane comunque incerta. Finora le sanzioni stabilite dall'Occidente non hanno danneggiato oltremodo le esportazioni della Russia, anche e soprattutto perché i prezzi si sono mantenuti molto più alti rispetto agli anni precedenti. Adesso però tutto può tornare in discussione se effettivamente le quotazioni dovessero cominciare a scendere.
Secondo Amrita Sen, responsabile della ricerca presso la società di consulenza Energy Aspects, i disaccordi sul price cap dell'UE lasciano pensare al mercato che il blocco possa acquistare petrolio russo. In realtà, "l'embargo sostituisce il tetto dei prezzi. Pertanto, in primavera i mercati petroliferi potrebbero restringersi in maniera significativa", ha affermato.
Martijn Rats, capo stratega delle materie prime di Morgan Stanley, sostiene che la Russia è riuscita a esportare il suo petrolio a un ritmo costante, ma "se l'embargo si dovesse rivelare efficace e un sacco di petrolio dovesse essere dirottato, questo sarà positivo per i prezzi".
A parere degli analisti di Bernstein, la Russia potrebbe richiedere fino a 100 navi aggiuntive disposte a operare senza usufruire dell'assicurazione delle compagnie occidentali, in modo da poter aggirare il limite di prezzo. Per fare questo, Mosca potrebbe attingere a una "flotta oscura" di petroliere utilizzate da Paesi che sono stati sanzionati dall'Occidente come l'Iran. Gli esperti ritengono che l'offerta alla fine diminuirà spingendo i prezzi fino a 120 dollari al barile nel 2023, anche se si dovesse configurare una recessione.