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L'incontro del 9 e 10 giugno anticipato ad oggi tra i membri dell'OPEC+ è rinviato senza alcuna indicazione della data;
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Alla base del rinvio gli attriti tra i Paesi produttori riguardo il rispetto delle quote;
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Il mercato teme un altro shock ma le shail oil americane nel frattempo si sono riorganizzate.
Ci si prepara a un nuovo cigno nero sul greggio? Il ricordo di quanto successe ad aprile è ancora fresco e le vicende delle ultime ore fanno pensare che le schermaglie tra i grandi produttori di petrolio non sono ancora terminate. La riunione dell'OPEC+, che avrebbe dovuto essere anticipata a oggi, è stata cancellata. E da alcune indiscrezioni di Reuters sembra che quella ufficiale del 9 e 10 giugno rischia di essere rinviata. Ne consegue che l'oro nero ha iniziato un dietrofront pericoloso dopo la straordinaria cavalcata dell'ultimo mese che ha portato il Brent a sfondare quota 40 dollari al barile e il WTI in orbita 38 dollari. Oggi il greggio del Mare del Nord viaggia appena sopra i 39 dollari e quello del Texas intorno a 36,50 dollari.
OPEC+: le ragioni della discordia
Cosa è successo in queste ore? A rischiare di far naufragare i precedenti accordi ancora una volta lo scontro tra Russia e Arabia Saudita. I due pesi massimi sembrava avessero raggiunto un'intesa di estendere di un mese il taglio di 9,7 milioni di barili al giorno già deciso nel precedente incontro ufficiale dell'OPEC plus. A quanto pare sono emersi dei contrasti sul rispetto delle quote e la cosa potrebbe rappresentare una bomba ad orologeria pronta a scoppiare. Infatti dal primo luglio l'output complessivo salirebbe di 3,2 milioni di barili perché non solo la sforbiciata si ridurrebbe a 7,7 milioni ma alcuni Paesi come Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi sarebbero pronti a rilanciare l'offerta di 1,2 milioni di barili al giorno.
Ad alimentare i sospetti il comportamento poco diligente da parte di alcuni Stati che non hanno effettuato in questo mese i tagli che dovevano attuare. Sul banco degli imputati l'Iraq che si è limitato soltanto al 42% di quanto doveva e la Nigeria ferma al 34%. I rispettivi Ministri dell'Energia hanno assicurato che i Paesi rispetteranno l'accordo riconducendo a questioni tecniche l'accaduto, ma allo stato attuale la situazione è in stallo. Il giro di vite è completato dalla decisione di alcune shail oil americane come EOG Resources e Parsley Energy che, frementi di ripartire, hanno deciso di riprendere a estrarre il petrolio dai loro pozzi.
Quali ripercussioni sul mercato del greggio
Assisteremo a un nuovo shock? Di certo la catastrofe di aprile aveva colto un pò tutti quanti impreparati, soprattutto tra le compagnie del Texas. Oggi la situazione è profondamente cambiata rispetto a due mesi fa. Gli Stati Uniti hanno ritirato dal mercato almeno 2 milioni di barili di greggio al giorno nel frattempo e gli investimenti nelle attività petrolifere sono stati ridotti del 50%. In aggiunta a questo, le trivelle statunitensi si sono ridotte del 70% e oggi sono solo di 683 unità, la cifra più bassa dal 2009. Gli ultimi dati EIA sulle scorte settimanali USA hanno rilevato poi un calo inferiore al previsto: 2,1 milioni a fronte di un consensus che dava un aumento di oltre 3 milioni.
Sullo sfondo però la grande incertezza sulla ripresa della domanda, variabile fondamentale che potrebbe riequilibrare il mercato. La ripartenza delle attività sarà lenta e le tensioni commerciali tra USA e Cina rischiano di compromettere seriamente ogni cosa. Uno dei capisaldi dell'accordo del 15 gennaio firmato a Washington riguardava il fatto che Pechino avrebbe dovuto importante una grande quantità di prodotti made in USA, tra cui il petrolio. Oggi il Dragone è il primo importatore mondiale di greggio con 1 milione di barili al giorno. Lo stop agli acquisti, come è stato ordinato recentemente dalle Autorità cinesi, potrebbe infliggere un altro colpo mortale al mercato che ancora una volta rischierebbe di collassare.