Le materie prime sono state le grandi protagoniste dei mercati per lunghi tratti del 2022. La crisi alla catena degli approvvigionamenti nel periodo post-Covid, determinata da una scarsità dell'offerta, ha innescato una spirale rialzista delle quotazioni, completata dallo scoppio della guerra Russia-Ucraina. Con l'invasione delle truppe di Mosca, sono scattate le sanzioni occidentali verso la Russia che, in segno di ritorsione, ha tagliato le forniture di alcune delle materie prime di cui è ricca.
Questo ha squilibrato il mercato, segnato da una sovrabbondanza di domanda rispetto all'offerta, facendo in tal modo salire i prezzi soprattutto dei generi alimentari e dei prodotti energetici. Nella seconda parte dell'anno, per diverse ragioni, le quotazioni si sono ritirate. Vediamo in dettaglio quali sono state le materie prime che hanno vinto e quelle che hanno perso.
Gas e petrolio
Gas e petrolio sono stati i responsabili di una violenta crisi energetica, in particolare in Europa, che ha comportato un'impennata delle bollette energetiche mettendo in grave difficoltà famiglie e imprese. Il gas quotato alla Borsa di Amsterdam è passato nell'arco di 12 mesi da una valutazione di 30 euro a un massimo di 340 euro a megawattora, allorché il Premier russo Vladimir Putin ha deciso il taglio delle forniture in Europa dal principale gasdotto Nord Stream 1 fino al 20% della sua capacità.
Con il supporto delle forniture di GNL soprattutto dagli Stati Uniti, i Paesi dell'Unione Europea sono riusciti a riempire gli stoccaggi per l'inverno e a far abbassare il prezzo del gas. A dicembre hanno anche raggiunto l'accordo di fissare un price cap a 180 euro a megawattora, spingendo le quotazioni al di sotto dei 100 euro.
Il petrolio ha seguito una parabola simile, dopo lo shock pandemico che nella primavera del 2020 aveva addirittura proiettato i futures sul greggio in territorio negativo per la prima volta nella storia. Quest'anno le quotazioni hanno intrapreso un rally straordinario, a seguito delle sanzioni occidentali alla Russia, arrivando a 140 dollari al barile.
L' OPEC+ non è andato incontro ai Paesi importatori, tagliando l'offerta i 2 milioni di barili giornalieri a novembre ( Petrolio: l'OPEC+ taglia offerta di 2 ml di barili, ecco cosa comporta) e contribuendo a mantenere alti i prezzi. Il calo della domanda dalla Cina dovuto alle chiusure per il Covid-19 e l'aspettativa di un accordo occidentale sul price cap hanno svolto un ruolo importante nel dimezzamento delle quotazioni dal picco. Dal 5 dicembre sono entrati in vigore l'embargo sul petrolio russo in Europa e il price cap a 60 dollari al barile da parte di UE, G7 e Australia sul greggio proveniente da Mosca per le compagnie che intendono fornirsi dei servizi finanziari, assicurativi e di trasporto di società delle Regioni citate.
Cosa aspettarsi per il 2023? Tutto dipende da alcuni fattori. Innanzitutto, la reazione della Russia. Il Cremlino ha dichiarato che non venderà i combustibili alle compagnie energetiche che rispetteranno il price-cap, ma bisognerà vedere se Mosca riuscirà a coprire il vuoto dirottando le forniture ad altri Paesi come Cina e India.
In secondo luogo, la domanda della Cina. Pechino dovrebbe riaprire l'economia senza attuare la politica zero Covid che quest'anno è costata molto in termini di PIL. Se le autorità governative daranno seguito agli annunci, le richieste della seconda superpotenza mondiale, che è anche il più grande acquirente di prodotti energetici, potranno sostenere il prezzo soprattutto del petrolio.
In terzo luogo, occorrerà stabilire se l'Europa sarà in grado di trovare delle alternative alla mancanza del gas di Putin. Gli sforzi sul GNL, sui rigassificatori e sulle energie rinnovabili potrebbero ancora non essere sufficienti a garantire il fabbisogno complessivo, specialmente con riferimento a quei Paesi che erano fortemente dipendenti dai gasdotti russi. Ciò significa che, sebbene sarà difficile rivedere prezzi esorbitanti del gas come quelli di quest'anno, non si esclude che le quotazioni potranno tornare a salire.
Oro
L'oro ha seguito nel 2022 un andamento per certi versi anomalo. Quando vi è un ambiente caratterizzato da alta inflazione e grande incertezza, il metallo giallo guadagna posizioni poiché non perde il suo valore intrinseco e funziona come bene rifugio per via delle grandi riserve detenute dalle Banche centrali.
Quest'anno però hanno impattato in maniera decisiva due fattori contrarian. Il primo fa riferimento al rialzo dei tassi d'interesse della Federal Reserve che ha fatto salire i rendimenti di due beni rifugio per eccellenza come i Treasury Bond e il dollaro USA.
Il secondo fattore riguarda la straordinaria forza del dollaro americano, la valuta in cui è quotato il metallo prezioso. La crescita del prezzo del biglietto verde ha reso più costoso acquistare oro per gli investitori non americani a causa dell'effetto cambio. Ciò ha significato un calo della domanda e quindi del prezzo. L'oro quindi è passato da un massimo di 2.078 dollari l'oncia del mese di marzo a un minimo di 1.618 del mese di settembre, prima di risalire verso 1.800 dollari sulle aspettative di un rallentamento delle strette sui tassi della Fed e della flessione del dollaro USA.
Per il 2023 molto dipenderà dall'inflazione USA e conseguentemente dall'atteggiamento della Fed sul fronte dei tassi. Se le indicazioni sul raffreddamento dell'IPC di novembre e dicembre dovessero essere confermate e la Banca Centrale USA dovesse allentare la politica monetaria, con conseguente indebolimento della valuta americana, il 2023 potrebbe essere l'anno dell'oro. Un ulteriore fattore rialzista è rappresentato dalle elevate probabilità dell'arrivo di una recessione globale.
Acciaio, alluminio e rame
Acciaio, alluminio e rame sono stati i grandi perdenti nel 2022, con un calo delle quotazioni rispettivamente del 54%, del 15% e del 14%. Il motivo è che, essendo metalli industriali, sono legati strettamente all'andamento dell'economia. Il rallentamento di quest'anno ha condizionato la domanda, ma è stata decisiva la situazione della Cina, dove le attività sono state interrotte creando ulteriori increspature. Vi è da aggiungere che la domanda e i prezzi di tali materie prime avevano avuto un grande rally nel 2021, con le riaperture post-Covid e le problematiche sorte alle linee di approvvigionamento. Quindi, un certo rallentamento risulta essere anche fisiologico.
Il 2023 è un rebus, poiché ancora una volta sarà la Cina e lo sviluppo della sua economia a essere arbitri della partita. Secondo alcuni, una maggiore incidenza della decarbonizzazione e della transizione energetica finiranno per avere un impatto positivo sulla domanda.
Grano e mais
Quest’anno grano e mais hanno rischiato di aggravare una crisi alimentare mondiale iniziata durante la pandemia, dopo che la Russia aveva bloccato il flusso delle materie prime nei porti ucraini. Soprattutto alcuni Paesi africani come Egitto e Marocco, fortemente dipendenti dai farinacei nella loro alimentazione, si sono trovati nella situazione di rivivere alcuni momenti bui delle crisi passate.
Il rinnovo a novembre dell’accordo che assicura le esportazioni di cereali sul Mar Nero per altri 4 mesi ha rasserenato gli animi e scongiurato qualsivoglia pericolo. Quest’anno le quotazioni del grano viaggiano intorno alla parità, mentre quelle del mais avanzano di poco più di 10 punti percentuali. Per l’anno prossimo sarà da vedere gli sviluppi della guerra Russia-Ucraina e se altre escalation possano portare la Russia a irrigidirsi sulle posizioni che spesso ha tenuto in questo 2022.