Il mese di maggio è stato caratterizzato dalla rinascita del dollaro USA: il Dollar Index - indice che segna l'andamento della divisa americana rispetto a un paniere delle più importanti valute mondiali - è salito del 2,5% questo mese, riscattando parzialmente un crollo del 10% dai massimi del 2022. Tuttavia, dopo quanto è successo negli ultimi tempi, il dibattito sul fatto che il biglietto verde possa continuare a essere la moneta dominante a livello mondiale è acceso.
Le tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina, le ricadute della guerra Russia-Ucraina e le logomachie politiche sul tetto al debito USA sono solo alcune delle cause che mettono sotto esame il dollaro. Tirando le somme, vi sono dei motivi per credere che in futuro avverrà una sorta di de-dollarizzazione, ma anche ragioni che fanno propendere per il mantenimento dello status quo. Vediamoli di seguito.
Dollaro USA: ecco perché ci sarà una de-dollarizzazione
Un cambiamento potrebbe avvenire nei prossimi anni - come auspicano i principali oppositori degli Stati Uniti, quali Cina e Russia - in seguito a tre fattori.
In primis, c'è stato un
calo della quota in dollari nelle riserve ufficiali delle Banche centrali in tutto il mondo. Secondo i dati riportati dal
Fondo Monetario Internazionale, tale cifra nel quarto trimestre 2022 è scesa al 58%, il livello minore degli ultimi 20 anni. Ciò è scaturito soprattutto dal congelamento delle riserve valutarie e auree della Russia per sanzionarla dell'invasione dell'Ucraina. Molti Paesi tipo Cina, India, Turchia e Arabia Saudita a quel punto sono stati indotti a diversificare le loro riserve.
In secondo luogo, le Banche centrali stanno cercando di sostenere le loro valute ogni qualvolta si indeboliscono troppo rispetto al dollaro, perché altrimenti le materie prime diventano troppo costose e alimentano l'inflazione.
Il terzo segnale deriva dal fatto che diversi Paesi sono passati ad altre valute per regolare le transazioni di materie prime soprattutto energetiche, dopo che gli Stati Uniti hanno cercato di ostacolare il commercio con alcuni Stati come la Russia, il Venezuela e l'Iran. Ad esempio, l'India sta comprando petrolio russo pagandolo in dirham e rubli, la Cina sta pagando in yuan petrolio, carbone e metalli russi, mentre la compagnia francese TotalEnergies e la cinese CNOOC hanno regolato la transazione di marzo di GNL in yuan.
Dollaro USA: ecco perché non ci sarà una de-dollarizzazione
I segnali che fanno pensare che nei prossimi anni il dollaro USA perderà buona parte del suo blasone sono evidenti, ma altrettanti motivi fanno credere che i tempi non sono maturi affinché ciò avvenga.
Uno è che
gli scambi internazionali si basano su un sistema che di per sé è molto complesso e articolato. Circa il 50% del commercio globale è fatturato in dollari, così come la metà del debito offshore è espresso nella moneta a stelle e strisce, secondo i dati rilasciati dalla
Banca dei Regolamenti Internazionali. Questo significa che lo smarcamento dal biglietto verde richiederebbe il coinvolgimento di una vasta rete di soggetti che operano sui mercati come importatori ed esportatori, trader valutari, finanziatori ed emittenti di debito, i quali dovrebbero in autonomia scegliere diversamente da quanto hanno fatto fino ad oggi.
In secondo luogo, un sistema basato su una pluralità di valute rischierebbe di essere troppo frammentato e sarebbe accompagnato da una de-globalizzazione che riporterebbe indietro nel tempo e che almeno per il momento risulta difficile immaginare.
Infine, il dollaro è utilizzato come rifugio sicuro, se non altro perché sostenuto dal mercato dei titoli di Stato USA da 23.000 miliardi di dollari. Specialmente in un periodo storico contrassegnato da grandi turbolenze, ed alla luce del fatto che non tutti i depositi bancari sono assicurati, gli investitori trovano riparo nei Treasury Bond come alternativa ai contanti.