Le correzioni di borsa portano sempre dietro paura e pessimismo, ma anche opportunità. Prima della crisi innescata dal Covid19 e dalla guerra in Ucraina, il secolo corrente era considerato quello asiatico. Perché dovrebbe essere cambiata questa prospettiva? Forse la globalizzazione subirà un processo di arretramento, ma il progresso e la demografia sembrano ancora essere dalla parte del continente asiatico. E allora la cosa più semplice è osservare il comportamento dell’indice di borsa per eccellenza, quel Msci Asia ex Japan che, escludendo il Giappone, mette in fila i paesi emergenti dell’area.
Tra gli ETF “storici” che possiamo utilizzare per affinare questa analisi c’è Xtrackers MSCI AC Asia ex Japan ESG Swap. Una capitalizzazione di 400 milioni di euro, ma soprattutto una storia cominciata a gennaio 2009. Il grafico ci permette così di apprezzare in pieno cosa è successo dai minimi della Grande Crisi Finanziaria a oggi. E questo grafico sta assumendo sembianze alquanto intriganti.
Come si vede dalla figura l’ETF ha pagato a caro prezzo l’ascesa un po' troppo veloce sopra la parte superiore del canalone rialzista di lungo periodo. Di solito questi eccessi subiscono un ridimensionamento, come è accaduto, andando ad esacerbare il pessimismo degli investitori nei mesi successivi. Questo significa che l’interessamento di quella linea di tendenza che unisce tutti i minimi primari degli ultimi 13 anni era dovuto, quasi come il rimbalzo che è seguito. L’aspetto positivo della cosa è che in caso di nuova zampata verso il basso possiamo quantificare il livello di ingresso “secolare” sull’azionario asiatico entrando con un profilo di rischio rendimento eccellente.
Ma quali sono i paesi rappresentati in questo ETF. E con quali pesi?
Cominciamo con il dire che l'indice replicato è il MSCI AC Asia ex Japan Low Carbon SRI Leaders Capped. I mercati azionari dei paesi sviluppati ed emergenti dell'area asiatica ad esclusione del Giappone sono rappresentati, ma solo considerando società con emissioni di carbonio basse ed elevati rating ESG (ambientali, sociali e di governance).
La Cina è il paese dominante con quasi il 50% di peso nell’intero portafoglio rispecchiando il dominio anche economico dell’area da parte di Pechino. Hong Kong e Taiwan (quindi sempre Cina seppur indirettamente) seguono con il 16% e l’8% di peso. Corea del Sud, Singapore, Thailandia, Indonesia e Malesia completano un paniere che a livello settoriale vede beni di consumo e finanza ai primi due posti. Capeggiata da Alibaba con il 15%, il cosiddetto settore dei beni voluttuari rappresenta il 30% dell’intero portafoglio dell’ETF seguito di pochissimo dai finanziari. Naturalmente il rischio cambio è aperto alle rispettive valute locali. Le valutazioni di prezzo/utile dell’indice si posizionano ad un livello non certamente caro visto l’attuale livello di 14.
In sintesi possiamo dire che questo è un ETF che vede sicuramente un forte sbilancio sulla Cina lasciando circa il 30% agli altri paesi. Potremmo paragonarlo ad una sorta di Msci World dove gli Stati Uniti pesano per circa i due terzi. Se questo sarà il secolo asiatico non si potrà prescindere da un presidio di quest’area geografica. E il mercato sembra voler fornire una interessante finestra di ingresso.