La Cina ha deciso di lasciar andare per la sua strada Evergrande e di oliare il meccanismo del credito tagliando i coefficienti di riserva obbligatoria delle banche. Per quello che riguarda l’ormai ex colosso dell’immobiliare cinese, il non pagamento delle cedole su due bond torna a far aleggiare sui mercati il timore di un default finora evitato con manovre di salvataggio all’ultimo minuto. Fitch ha già declassato il rating a RD, ovvero Restricted Default.
Gli oltre 300 miliardi di dollari di debiti sulle spalle dell'azienda difficilmente saranno onorati da banche o addirittura dallo Stato. L’impressione a questo punto è quella di una barca alla deriva, con conseguenze che potrebbero allargarsi sull’intero circuito del credito cinese. Come se non bastasse, di recente si è aggiunto anche il default di Kaisa, altro operatore cinese del mondo immobiliare.
Per questo la Banca centrale cinese ha deciso un taglio da 50 punti base del tasso di riserva obbligatoria per gli istituti di credito, per consentire margini di erogazione di prestiti alle imprese più ampio in una fase di prevedibile irrigidimento del credito legato al fallimento di Evergrande.
A partire dal 15 dicembre 2021 le banche possono tenere in cash una quantità più bassa di depositi liberando liquidità a favore del sistema economico. Secondo Pechino, questa decisione dovrebbe immettere liquidità nel sistema per 1.200 miliardi di yuan (pari a circa 166 miliardi di euro) nel corso dei prossimi mesi.
Azioni tech Cina: Pechino spaventa gli investitori
In realtà la battaglia che si sta consumando nel mondo finanziario è ben più ampia: 200 aziende rischiano di essere espulse da Wall Street per non aver rispettato i requisiti di Washington sul controllo dei dati societari.
Pechino dal canto suo sta forzando diverse società quotate all’estero a ripensare alle proprie strategie. Soprattutto il settore tech è stato quello più coinvolto da norme stringenti e sanzioni. Il caso più eclatante è quello di Didi (la Uber cinese) che si era quotata alla Borsa americana contro il parere delle autorità di Pechino. Il delisting è però arrivato e un altro colosso come Alibaba è sotto pressione.
Secondo il Wall Street Journal la Cina sta valutando regole per vietare ai colossi di internet che gestiscono un grande ammontare di dati personali di quotarsi all’estero. Questo naturalmente ha spaventato gli investitori internazionali.
Indici di Borsa Shanghai e Hong Kong: investimento interessante con ripresa fiducia
Ma la reazione dei mercati asiatici qual è stata? Negativa per la Borsa di Hong Kong, sostanzialmente nulla per la borsa di Shanghai. I grafici dei due indici sono interessanti in quanto questa insensibilità potrebbe nascondere un mercato già contornato da mesi dal pessimismo e incapace di scendere ancora.
L'indice di Hong Kong replicabile con l’ETF Lyxor Hong Kong (HSI) (ISIN LU1900067940) è sempre più vicino ai minimi di marzo 2020 in una discesa senza grandi reazioni che mette in evidenza i dubbi dei mercati internazionali circa le interferenze di Pechino sulla piazza azionaria dell’ex colonia britannica. Da inizio anno la performance rimane negativa del 4% (dati al 8 dicembre 2021)
Diverso il discorso della Borsa di Shanghai. L’indice CSI 300 replicato da Xtrackers CSI 300 Swap -
ISIN LU0779800910) da agosto sta vivendo all’interno di un trading range molto stretto e privo di direzione. La performance positiva rimane in questo 2021 in doppia cifra grazie anche al rafforzamento della divisa locale cinese. Se questa è accumulazione lo scopriremo presto.
Quello che è certo sono le valutazioni di mercato. Il rapporto prezzo/utili di Hong Kong è inferiore a 10. Quello della Borsa cinese è di 16. Non stiamo certamente parlando di listini cari, quello che manca è la fiducia. Se questa dovesse riaffacciarsi nel 2022, i due paniere asiatici sarebbero da guardare con grande interesse.