Nel lungo periodo, i gestori dei fondi attivi raramente riescono a fare meglio dell'indice S&P 500. Lo dimostrano decenni di statistiche varie riportate dagli studiosi del settore. Di questo ne è perfettamente consapevole uno dei più grandi investitori di tutti i tempi: il leggendario
Warren Buffett, che nel 2006 lanciò una scommessa ardita per dimostrare questa tesi.
L'oracolo di Omaha scommise 1 milione di dollari che nessun hedge funds in 10 anni avrebbe battuto lo Standard and Poor’s (tenendo conto di tutti i costi e le spese). La proposta fu accettata da Ted Seides, che contrappose il suo hedge fund Protégé Partners, nient'altro che un fondo di fondi. Il risultato fu clamoroso: Buffett stravinse la scommessa infliggendo una sonora batosta alla gestione attiva.
In realtà, tutto ciò racconta una parte della verità. Per dirla tutta, esistono delle vere "rock star" dell'asset management che riescono con i loro fondi a sovraperformare l'S&P 500 anche considerando un orizzonte temporale lungo. La brutta notizia è che i fondi gestiti da questi fenomeni della finanza sono per lo più chiusi e quindi un normale investitore ha l'accesso sbarrato. Notizia ancora più brutta è il fatto che a volte questi fondi riaprono, ma a quel punto evidentemente avranno perso la qualifica di primi della classe.
Fondi: perché sono sconfitti dall'S&P 500
Non riuscire a fare meglio del benchmark di riferimento resta un grande cruccio di ogni gestore. Non solo perché se ne fosse capace avrebbe una misura importante circa la sua capacità di performance, ma anche perché si presenterebbe in maniera diversa di fronte agli investitori. Secondo le analisi degli studiosi del settore finanziario, i motivi di questo fallimento potrebbero essere sintetizzati in quattro cause.
La prima attiene alla grande qualità del gestore. Sembra un paradosso, eppure guardando oltre non è così. Chi è bravo a fare meglio degli altri il lavoro dello stock picker viene richiesto da tutti, soprattutto dai fondi rivali. Ne consegue che la sua strada lo porta dove gli viene offerto di più. Una volta che abbandona il fondo che aveva in gestione, quest'ultimo non avrà più le stesse performance di prima. Sono moltissimi gli esempi in passato di casi di questo genere, con veicoli di investimento che sono passati da guadagni stellari a perdite nel giro di pochi anni una volta che si è verificato un passaggio al timone.
La seconda causa è un effetto strano che porta spesso i fondi molto performanti a chiudere le porte a nuovi ingressi. Si tratta di questo. Quando un fondo ottiene ottimi risultati, tutti vogliono entrare in esso, ma a quel punto cosa fare dei nuovi investimenti? Le opzioni sono diverse e tutte con un risvolto negativo. La prima è quella di non fare nulla tenendo il denaro fresco in contanti e aspettando che i prezzi delle azioni scendano per utilizzarlo. Il problema è che se le quotazioni continuano a salire, la componente cash fa abbassare la performance complessiva del fondo. E questo è tanto più vero quanto maggiore è l'entità dei nuovi afflussi.
La seconda è aumentare le posizioni esistenti nelle azioni. In questo modo però si accresce il prezzo medio di carico del fondo, con il rischio di sopravvalutazione. Di conseguenza, se dovesse esserci una correzione di mercato, il rendimento del fondo subirebbe una brusca discesa. La terza è acquistare nuove azioni, che magari in precedenza si erano scartate, aumentando la diversificazione ma anche il lavoro di osservazione del gestore e il rischio di un abbassamento di qualità generale.
La terza ragione - ma forse la prima per importanza - della sottoperformance dei fondi attivi rispetto all'S&P 500 sono i costi. Un tempo c'era la regola del 2/20, ossia gli investitori nel fondo pagavano il 2% su ogni acquisto e su ogni vendita che veniva effettua dal gestore e un bonus del 20% sulla performance finale. Quest'ultima tra l'altro è diabolica, perché all'inizio di ogni nuovo anno tutto viene azzerato e quindi eventuali perdite precedenti non sono contabilizzate. Inoltre, vi era quasi sempre una commissione di front-end e back-end, ovvero di entrata e uscita dal fondo.
Insomma, un vero salasso che decurtava pesantemente le eventuali performance positive. Con il dilagare negli anni dei fondi indicizzati e passivi a basso costo, le spese generali si sono abbassate. Ciò non toglie che normalmente la gestione di un fondo attivo implica costi maggiori rispetto a un ETF o fondo passivi. Alla fine, nel confronto con l'S&P 500, i costi hanno un peso rilevante.
La quarta e ultima causa attiene a un atteggiamento remissivo dei gestori dopo aver ottenuto ottime performance oppure a uno eccessivamente aggressivo per mantenerle. Nel primo caso, gli asset manager tendono a diminuire quel rischio che ha permesso loro di realizzare ottimi risultati. Nel secondo caso, cercano di inseguire performance che possano continuare a soddisfare le aspettative degli investitori sostenendo rischi non più sostenibili. In entrambe le circostanze, l'effetto prodotto è quello di abbassare il rendimento generale, mettendo in fuga gli investitori.