Di recente anche il Financial Times ha iniziato a interrogarsi sulla sostenibilità dei tanti prodotti tematici emessi da gestori di fondi attivi e passivi negli ultimi mesi. Il problema principale si chiama fattore liquidità. Ho già scritto di questo tema in vari articoli. Parlando ad esempio delle caratteristiche che deve necessariamente avere un ETF per essere efficiente per un portafoglio di investimento, ma anche con riferimento ai tanti prodotti con etichetta ESG lanciati sul mercato recentemente.
Il Financial Times prende lo spunto dal fondo M&G Property Portfolio da 2,3 miliardi di asset under management che per ben 17 mesi ha impedito i prelievi ai suoi sottoscrittori e che solo da pochi giorni ha riaperto le sue attività ordinarie di gestione dei rimborsi. Il problema che aveva avuto questo fondo che investe tuttora nel real estate britannico era ovviamente legato a doppio filo con la Brexit.
Nel momento in cui i timori dell’hard Brexit erano aumentati in maniera importante gli investitori si erano precipitati all’uscita. Ma se l’investimento ha come sottostanti anche proprietà commerciali che non possono essere vendute in 5 minuti, ecco che il problema dei rimborsi e della liquidità dello strumento diventa decisiva.
La stessa preoccupazione sta montando per fondi tematici di natura varia nati negli ultimi tempi sull’onda di una personalizzazione sempre più spinta sui desideri degli investitori. Cannabis, animali domestici, blockchain, parità di genere e tanto altro ancora che ha saputo mettere nelle casse dei produttori quasi 400 miliardi di dollari nel 2021.
Il problema è sempre quello della diversificazione. Un ETF che investe in un numero di società molto ridotte rischia non solo di essere legato in modo decisivo alle performance di poche società, ma anche di subire un grado di illiquidità notevole se quelle società sono micro o small cap. In Europa un fondo passivo può ottenere l’autorizzazione ad operare con un limite massimo di 35% di una singola società in portafoglio e questo può creare un problema a certe condizioni di mercato.
Una recente indagine di FactSet ha fatto notare che su alcuni ETF indicizzati a società operanti nelle miniere d’argento, nella cannabis o nell’energia nucleare, il 5% di in/out-flow dal comparto si trasmette mediamente nel 20% o più dei volumi giornalieri di una certa azione facente parte di quell’ETF.
Rischiano perciò di non essere i fondamentali a guidare le valutazioni ma improvvise ondate di acquisti o vendite dal mercato solo ed esclusivamente legate alla moda del momento. Quando i prezzi puntano verso l’alto questo quasi mai è un problema.
Quando però arriva la volatilità e gli investitori escono (o meglio sarebbe dire cercano di uscire) dalle posizioni, il collo di bottiglia crea distorsioni di prezzo. L’esempio del fondo azioanario gestito dall’ex guru Neil Woodford estremamente concentrato e costretto a chiudere i rimborsi nel 2019 ne è stato un esempio concreto.
Vero è che, per le caratteristiche del prodotto ETF, quando acquirenti e venditori sono molto distanti per quantità richieste ed offerte si attivano meccanismi di creazione e riduzione delle quote che permettono di gestire la situazione.
Questo però vale per il veicolo ETF, non naturalmente per le azioni sottostanti un certo paniere. Sotto la pressione delle vendite o degli acquisti queste micro azioni possono subire movimenti decisamente fuori dall’ordinario, con danni patrimoniali per l’investitore.
ETF liquidabile sì ma a condizioni che in quel momento decide il mercato e non sempre sono condizioni eccellenti per l’investitore. Attenzione quindi a non eccedere troppo con la porzione di fondi o ETF tematici in portafoglio perché, nel momento in cui la volatilità tornerà ad impadronirsi del mercato, potrebbe essere concreto il rischio di ritrovarsi in mano strumenti vendibili sempre ma a costo di sacrifici di prezzo enormi.