Il crollo di
Bitcoin di questi ultimi giorni comincia a preoccupare gli investitori. Dopo il record storico raggiunto il 6 ottobre a oltre 126.000 dollari, la principale criptovaluta si è eclissata
scendendo sotto quota 107.000 dollari.
Il forte sell-off è scattato dopo che venerdì scorso il presidente degli Stati Uniti
Donald Trump ha riacceso lo scontro con la Cina minacciando dazi del 100%. Pechino ha replicato promettendo contromisure su una mossa avventata del tycoon, inasprendo ulteriormente il clima. I toni in seguito sono stati abbassati, ma la situazione non è rientrata del tutto. La tensione quindi resta alta ed evoca scenari spiacevoli per il mercato, che ha ancora fresco il ricordo della guerra commerciale scoppiata tra le due più grandi superpotenze economiche mondiali solo qualche mese fa.
Diversamente da quanto avvenuto in precedenza, gli investitori non hanno comprato il ribasso di Bitcoin. Anzi, hanno continuato a vendere mentre serpeggiava l'ansia per le perdite nascoste su crediti dopo i crolli di First Brands Group e Tricolor Holdings e le svalutazioni legate alle frodi della banche regionali statunitensi Zions Bancorp e Western Alliance che hanno cancellato in un solo giorno più di 100 miliardi di dollari di capitalizzazione nel settore.
Bitcoin: ma non era un bene rifugio?
Mentre le tensioni imperversavano nei mercati finanziari, beni rifugio come oro e argento bruciavano continuamente record storici. Il metallo giallo oggi si avvia spedito verso la soglia di 4.400 dollari, mettendosi sulla buona strada per il più grande rialzo annuale dal 1979. L'argento non è da meno e in questi giorni si è avvicinato ai 53 dollari l'oncia.
E Bitcoin? La valuta digitale, che aveva suscitato grandi speranze con l'amministrazione Trump crypto-friendly, ha deluso. Da molto tempo si consuma il dibattito se sia o meno un bene rifugio. I più accaniti sostenitori della criptovaluta non hanno dubbi al riguardo: il Bitcoin è destinato addirittura a sostituire l'oro come principale porto sicuro nei momenti di tensione economica, finanziaria e geopolitica. Il motivo è che è un bene scarso e non è controllato da alcun organismo centralizzato.
Quanto accaduto negli ultimi tempi descrive però una realtà diversa. Il crollo del Bitcoin si è associato a quello delle Borse allorché è arrivata la buriana. In sostanza, una volta salita la tensione, gli investitori si sono messi in fuga dalle attività più rischiose, tra cui Bitcoin. Ciò darebbe ragione a chi ha sempre affermato che un asset così volatile non potesse mai assumere il ruolo di bene rifugio, quantunque la volatilità della moneta virtuale nel tempo si sia ridotta.
"Più di ogni altra cosa, penso che le criptovalute si stiano comportando come un canarino nella miniera di carbone, suggerendo che il mercato è al limite a causa delle preoccupazioni emergenti sul credito", ha affermato Matthew Hougan, Chief investment officer di Bitwise. In sostanza, quanto sta accadendo nel mercato delle criptovalute è un avvertimento, esattamente come quello dei canarini che i minatori portavano con sé nelle miniere di carbone per segnalare la presenza di gas tossici.
Secondo Rachael Lucas, analista di BTC Markets, "a colpire è la tempistica del crollo che coincide con i principali operatori che perseguono le licenze bancarie". Il passaggio all'infrastruttura finanziaria tradizionale "segnala una copertura strategica contro la volatilità, con l'obiettivo di costruire legittimità", ha aggiunto. Ora l'esperto vede quota 107.000 dollari un livello di supporto chiave per Bitcoin, rotto il quale "si rischia un ribasso più profondo".