L'S&P 500 si appresta ad entrare in un mercato rialzista. Dai minimi di ottobre, il principale indice americano è cresciuto quasi del 20% sulla spinta dei grandi titoli tecnologici. Da quando, a partire dall'ultimo trimestre del 2022, l'inflazione statunitense si è raffreddata, gli investitori hanno capitalizzato l'aspettativa di un allentamento della politica restrittiva da parte della
Federal Reserve.
Così in realtà è stato, ma ora il mercato si aspetta di più, ovvero che entro quest'anno, magari nel terzo trimestre, la Banca centrale americana diventi accomodante con il primo taglio del costo del denaro. Anche perché la minaccia di una recessione è ancora viva negli Stati Uniti, sebbene i dati macroeconomici per il momento non facciano pensare a una contrazione imminente dell'economia a stelle e strisce.
Gli investitori hanno preso fiducia anche dall'accordo sul tetto al debito USA, che per mesi ha tenuto in ansia il mercato americano. Tuttavia, la forza della Borsa statunitense in queste ultime settimane è figlia dello straordinario entusiasmo per l'intelligenza artificiale, che sta guidando il rally di alcune Big Tech, Nvidia fra tutte.
Wall Street: il problema sta nell'ampiezza del mercato
Guardando più a fondo al rally dell'S&P 500, gli analisti esprimono grande preoccupazione. Il motivo consiste nel fatto che il mercato manca di una caratteristica essenziale affinché i rialzi siano sostenibili e duraturi, ossia l'ampiezza. Più precisamente, la capitalizzazione dell'indice oggi è rappresentata per circa il 30% da 8 Big Tech: Alphabet, Amazon, Apple, Meta Platforms, Microsoft, Netflix, Tesla e Nvidia (22% ad inizio anno). Se si dà lo stesso peso a tutti i componenti dell'S&P 500, il guadagno del benchmark passa da oltre il 10% a poco più dell'1% quest'anno. Si tratta della più grande sovraperformance mai registrata del benchmark su base annua (dati del Dow Jones a partire dal 1990).
A questo si aggiunge un altro segnale che mostra la scarsa ampiezza del mercato, ossia che la scorsa settimana la quota di titoli dell'indice che hanno chiuso al di sopra della media mobile a 200 giorni è scesa al 38%. Cosa significano questi numeri? La risposta viene dalla storia. Sulla base di un'analisi condotta da Adam Turnquist e Jeffrey Buchbinder di LPL Financial, basata su dati a partire dal 1991, i rendimenti dell'S&P 500 a 1, 3, 6 e 12 mesi tendono ad essere negativi quando meno del 48% delle azioni è scambiato al di sopra della media negli ultimi 200 giorni.
Quindi, in teoria, se il mercato dovesse cominciare a liquidare i titoli tecnologici, l'S&P 500 potrebbe crollare pesantemente. Una situazione del genere si è verificata a settembre 2020, quando un improvviso dietrofront delle azioni tech dopo un rally di cinque mesi, portò in tre giorni l'indice a lasciare sul mercato circa il 10% di capitalizzazione.
"Se si guarda al livello dell'indice S&P 500, si potrebbe essere ingannati nel pensare che in realtà il mercato stia andando davvero bene, che l'attività sia forte e che la crescita degli utili sia in piena modalità di recupero", ha affermato Seema Shah, Chief global strategist di Principal Asset Management. "Ma questo rispecchia in maniera abbastanza errata ciò che sta accadendo sotto la superficie".
Secondo Altaf Kassam, strategist di State Street Global Advisors, la riduzione dell'ampiezza non significa necessariamente la fine del rally. Tuttavia, l'esperto sottolinea che "la preoccupazione con un rally stretto è che quando cambia direzione, lo fa in maniera molto rapida".