Fallimento SVB: cosa ne pensano le banche d'affari su rischio contagio | Investire.biz

Fallimento SVB: cosa ne pensano le banche d'affari su rischio contagio

15 mar 2023 - 11:05

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Abbiamo parlato tanto del fallimento di SVB, vediamo come le banche d’affari valutano il rischio contagio e come questo crac potrebbe influenzare le banche centrali

Su Investire.biz abbiamo analizzato i motivi che hanno portato al fallimento di SVB ( I motivi del fallimento SVB: siamo di fronte ad un nuovo 2008?), abbiamo visto le misure che sono state e che saranno prese dalle autorità per frenare l’emorragia ( Crac SVB: come i regolatori USA eviteranno perdite per 300 miliardi) e quale approccio adottare sui mercati ( Wall Street: Morgan Stanley, vendere azioni a ogni rimbalzo post-SVB e Wall Street: 3 banche su cui puntare dopo il crac di SVB). 

A questo punto, proviamo a vedere quella che è la view degli analisti sul fallimento di SVB.

 

 

Fallimento SVB: è il 2008 che si ripete?

“Non riteniamo che il crollo di SVB possa rappresentare il sintomo di una problematica più generalizzata all'interno del sistema bancario, che è più forte e meno connesso di quanto lo fosse ai tempi della crisi finanziaria del 2008”, spiega Roberto Rossignoli, Portfolio Manager di Moneyfarm. 

Mentre nella crisi finanziaria del 2008 era un sistema, un modello di business, ad essere coinvolto, in questo caso forse possiamo utilizzare un mantra spesso abusato: “questa volta è diverso”. 

SVB era tutt'altro che una banca tipica, poiché si concentrava sull'essere la banca al centro dell'ecosistema del venture capital”, evidenzia Daniel Björk, gestore del Swisscanto Bond Fund CoCo. “La maggior parte dell'attività bancaria era svolta con le start-up, soprattutto nel settore tecnologico e biotecnologico. Di conseguenza, il mix di clienti era molto concentrato e la mancanza di diversificazione aggravata dal fatto che i propri clienti erano società in una fase early-stage, particolarmente vulnerabili in un mondo in cui l'accesso al denaro è sempre più costoso e ridotto”. 

Per noi è chiaro che SVB fosse una banca molto rischiosa e completamente anomala nella maggior parte delle sue dimensioni. Aveva un mix di clienti e attività rischioso (più simile a un monoliner), una gestione della liquidità molto carente e l'assenza di pratiche di tesoreria standard in termini di gestione del rischio di interesse”, evidenzia Björk. 

A fronte del crac di una banca atipica, questa volta le autorità si sono mosse con prontezza. “Riteniamo che le misure messe prontamente in campo dalle autorità statunitensi limiteranno i danni ed eviteranno effetti sistemici”, ha detto Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments. 

Anche David Dowsett, Global Head of Investments di GAM Investments, ritiene che il fallimento di SVB non sia sistemico, lo giudica sostanzialmente come un “evento episodico e di breve durata”. “Credo che questo sia uno di questi, piuttosto che un evento che fa deragliare le prospettive di mercato per l'anno in corso e che ci costringe a riconsiderare tutto”.

Sulla stessa linea anche un team di Amundi, formato da Monica Defend, Vincent Mortier e Matteo Germano. “Pur essendo una circostanza negativa per il mercato, il fallimento di SVB rappresenta più una storia idiosincratica che un problema sistemico. Rispetto alla crisi di Lehman, SVB non fa uso di leva finanziaria, non ha una grande esposizione ai derivati e non ha ramificazioni globali rilevanti”. 

Tuttavia, continuano i tre esperti, “questo evento mette in evidenza la necessità di valutare con attenzione gli effetti ritardati dell'aumento dei tassi, in particolare quando si tratta di istituzioni finanziarie di importanza non sistemica e di altre istituzioni finanziarie non bancarie, per le quali non c’è una regolamentazione rigorosa”.

 

 

Fallimento SVB e politica monetaria

Legato proprio alla violenta inversione ad U impressa dalle banche centrali alle condizioni monetarie, il fallimento di SVB potrebbe indurre i maggiori istituti, Banca Centrale Europea e Federal Reserve su tutte, a rimodulare gli interventi sui tassi. 

Se l’istituto guidato da Christine Lagarde nel corso del meeting di febbraio ha già annunciato che domani il costo del denaro sarà alzato di mezzo punto percentuale ( Riunione BCE: Lagarde, rischi inflazione si sono riequilibrati), e quindi è improbabile che assisteremo ad un’inversione di rotta in questo senso (che finirebbe solo per disorientare gli investitori), indicazioni più da “colomba” potrebbero arrivare dalla guidance sulle prossime mosse. I fallimenti bancari potrebbero, rilevano da Amundi, “costringere la BCE a rivedere il percorso della propria politica”. 

Sull’altra sponda dell’Atlantico, il CME FedWatch Tool stima che il 22 marzo il costo del denaro USA sarà alzato di 25 punti base con una probabilità dell’83,4%, mentre la possibilità di una conferma dell’attuale livello (450-475pb) è valutata al 16,6% (una settimana fa una stretta dello 0,5% era probabile al 78,6%). 

“I bond a due anni -continua Dowsett- suggeriscono che la Fed possa non aumentare ulteriormente i tassi, ma non mi sbilancerei a questo riguardo. È improbabile che la Fed voglia smettere di alzare i tassi di interesse visti i dati economici relativamente solidi. È chiaro, tuttavia, che se altri istituti dovessero crollare, in quel momento la Fed smetterà di alzare i tassi. Non è possibile che una banca centrale aumenti i tassi di interesse mentre diverse istituzioni finanziarie stanno fallendo”.

Nel meeting di marzo, è il parere di Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, “si escluderà del tutto un rialzo di 50 basis points e si discuterà se fare una pausa nel processo di rialzo dei tassi”. Di conseguenza, “manteniamo le nostre aspettative su un rialzo di 25 basis points da parte della FED ma potrebbe essere l’ultimo della serie”.

Per Rossignoli “il settore bancario e finanziario meritano un'attenzione speciale e la Fed dovrà tenere conto dell’attuale contesto prima di prendere nuove decisioni di politica monetaria in merito all’inflazione”.

 

 

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