Il terremoto innescato dal fallimento del produttore svedese di batterie Northvolt potrebbe scuotere il settore delle auto elettriche. Questa settimana è successo di tutto. Prima la società ha dichiarato bancarotta chiedendo la protezione al Chapter 11 della legge fallimentare statunitense, poi, il giorno dopo, Peter Carlsson, il co-fondatore e Amministratore delegato che ha guidato l'azienda fin dal suo inizio nel 2016, si è dimesso. Da ora però il top manager assumerà il ruolo di consulente senior della società rimanendo comunque membro del Consiglio di amministrazione.
L'azienda adesso dovrà ristrutturare il debito, ridimensionare l'attività e garantire la continuità delle operazioni, ovviamente sotto un'amministrazione commissariata. Northvolt, che è una società non quotata, ha dichiarato che funzionerà come prima anche durante il processo di ristrutturazione, il cui termine è stato previsto per il primo trimestre del 2025.
Inoltre ha fatto sapere che con la riorganizzazione la società potrebbe accedere a circa 245 milioni di dollari di nuovi fondi, di cui 145 milioni di dollari in cash e 100 milioni di dollari di finanziamenti particolari forniti dal produttore di camion Scania. Quest'ultimo fa parte del gruppo Volkswagen, che è il maggiore azionista di Northvolt con una quota del 21%.
Due mesi fa la società aveva affermato di voler ridurre la sua forza lavoro globale di circa il 20%, lasciando a casa circa un quarto del personale svedese, nell'ambito di un'enorme campagna di riduzione dei costi. Carlsson però ha detto ai giornalisti, che Norhvolt ha bisogno da 1 a 1,2 miliardi di dollari per continuare come azienda in attività dopo il Chapter 11.
Auto elettriche: gli effetti del fallimento di Nothvolt
Northvolt produce batterie agli ioni di litio per le auto elettriche ed è partner delle principali case automobilistiche europee. Per anni è stata considerata la migliore speranza nel Vecchio Continente per creare un campione regionale delle batterie tenendo testa alle imprese cinesi come CATL e BYD. L'azienda ha raccolto più di 50 miliardi di dollari in ordini da gruppi automobilistici del calibro di Volkswagen, BMW, Scania e Porsche, nonché altri miliardi di capitale dagli stessi gruppi e da investitori finanziari tra cui Goldman Sachs e BlackRock.
La concorrenza di Pechino però è stata letale per la società con sede a Stoccolma. Questo, oltre a segnare una battuta d'arresto per il settore nell'ambito dell'elettrificazione dei mezzi di trasporto, allontana la prospettiva delle case automobilistiche europee di sganciarsi dalla dipendenza cinese.
Tutto ciò in un contesto in cui la domanda di auto elettriche in questo momento vacilla e le aziende sono alle prese con una guerra commerciale con la Cina. Sullo sfondo si agita altresì lo spauracchio dei dazi USA, se
Donald Trump darà seguito a quanto promesso (o minacciato) durante la campagna elettorale prima del voto presidenziale del 5 novembre che ha decretato la sua vittoria.
"Avrei dovuto tirare i freni prima sul percorso di espansione per assicurarmi che il motore principale si muovesse secondo i piani", ha detto Carlsson nella conferenza stampa che ha accompagnato l'annuncio delle sue dimissioni.