Il presidente USA Donald Trump torna a scuotere Wall Street con una proposta destinata a far discutere: eliminare l’obbligo per le società quotate di pubblicare i conti trimestrali e sostituirli con rendiconti semestrali.
L’idea, rilanciata con un post su Truth Social, punta a ridurre i costi regolamentari e a favorire una gestione aziendale più orientata al lungo periodo, ma solleva al contempo dubbi sulla trasparenza e sui rischi di minore informazione per gli investitori. Vediamo tutti i dettagli.
Trump, stop trimestrali: meno costi e più focus sul lungo termine
Secondo Trump, i bilanci trimestrali distolgono i manager dalla visione strategica, spingendoli a concentrarsi su risultati immediati che spesso alimentano speculazione e “shortismo” da parte dei trader ad alta frequenza.
“È tempo che i dirigenti si concentrino sulla corretta gestione delle loro aziende, senza sprecare denaro e risorse in adempimenti burocratici”, ha scritto Trump. Il riferimento non è nuovo: già nel suo primo mandato aveva chiesto alla U.S. Securities and Exchange Commission (SEC) di studiare il tema, senza che ne scaturissero cambiamenti concreti.
Stop trimestrali a Wall Street: una riforma storica che passa dalla SEC
La modifica non richiederebbe un voto del Congresso, ma l’approvazione della Securities and Exchange Commission. Dal 1970, le società quotate devono presentare i propri risultati ogni tre mesi, un requisito che ha reso il mercato americano uno dei più trasparenti al mondo. Ora, con la maggioranza repubblicana nella commissione (3-1), la proposta potrebbe avere i numeri per andare avanti, anche se il percorso potrebbe richiedere dai 6 ai 12 mesi.
Il Long-Term Stock Exchange, piattaforma alternativa di negoziazione, aveva già avanzato l’idea di passare a comunicazioni semestrali, sostenendo che le trimestrali generano pressioni eccessive e scoraggiano le IPO. Secondo dati del Center for Research in Security Prices, infatti, le società quotate negli Stati Uniti sono oggi circa 3.700, il 17% in meno rispetto a tre anni fa e quasi la metà rispetto al 1997.
Buffett e Dimon in prima linea
Trump può contare su endorsement di peso. Già nel 2018 Warren Buffett e Jamie Dimon, rispettivamente alla guida di Berkshire Hathaway e JP Morgan Chase, avevano scritto sul Wall Street Journal che le trimestrali “portano a un’ossessione per i profitti di breve termine a scapito della crescita e della sostenibilità di lungo periodo”.
A favore della riforma anche alcuni grandi investitori istituzionali, tra cui il fondo sovrano norvegese, che vede nel reporting semestrale un’opportunità per rafforzare la pianificazione strategica e ridurre la volatilità.
Le critiche: meno informazioni, più rischi
Non mancano però le voci contrarie. Molti analisti sottolineano che le trimestrali garantiscono agli investitori un flusso costante di dati affidabili, consentendo decisioni più tempestive. Da parte sua, la SEC ha ricordato che eventuali cambiamenti dovranno comunque preservare gli standard contabili GAAP, considerati tra i più rigorosi al mondo.