Le quotazioni dei titoli di Stato USA sono crollate in maniera inaspettata questa settimana, con i rendimenti a lungo termine balzati a livelli che non si vedevano da tempo. Il ritorno dei Treasury decennali era scivolato sotto quota 4% subito dopo il 2 aprile, giorno in cui il presidente degli Stati Uniti
Donald Trump ha scioccato il mondo annunciando dazi molto pesanti per tutti gli altri Paesi.
Gli investitori in preda al panico avevano venduto massicciamente le azioni per indirizzarsi in asset rifugio come i titoli di Stato americani. Tuttavia, questo movimento è durato poco, perché presto è arrivata una clamorosa inversione di rotta e il mercato ha iniziato un sell-off aggressivo del reddito fisso statunitense.
I rendimenti a 10 anni hanno superato la soglia del 4,5% come a febbraio scorso, mentre i trentennali sono balzati al 5%. Gli investitori si stanno allontanando da tutto ciò che sa di americano sui mercati finanziari, temendo che un'eventuale recessione negli Stati Uniti innescata dai dazi si rifletta negativamente sugli asset del Paese.
Nel recente crollo dei titoli di Stato USA, però, alcuni esperti di mercato ci vedono la mano della Cina come forma di vendetta nell'ambito della guerra commerciale. Questa settimana è andata in scena un botta e risposta a colpi di tariffe tra Washington e Pechino. Ora i dazi USA sulla Cina sono arrivati al 145%, mentre quelli cinesi sui beni importati dagli Stati Uniti sono giunti al 125%.
"La Cina potrebbe vendere titoli del Tesoro per ritorsione", ha scritto Ataru Okumura, strategist senior per i tassi di interesse presso SMBC Nikko Securities in una nota ai clienti. "Se questo dovesse essere il caso, la Cina ha un incentivo a dimostrare che non esiterà a causare turbolenze nel mercato finanziario globale al fine di migliorare il suo potere negoziale contro gli Stati Uniti".
Titoli di Stato USA: la Cina sta realmente vendendo?
Secondo gli ultimi aggiornamenti del Dipartimento del Tesoro USA, il debito pubblico americano ammonta a circa 35.000 miliardi di dollari. Di questa cifra, il 77% è in mano agli americani, che comprendono investitori e altri detentori, la Federal Reserve, i fondi di Previdenza sociale e altre agenzie governative. Il resto è riservato agli stranieri, di cui Giappone e Cina hanno la quota più alta con circa il 4% ciascuno.
I dati ufficiali evidenziano come le partecipazioni cinesi siano scese costantemente da circa 15 anni, ma se ultimamente sono state effettuate vendite da Pechino non è dato di saperlo con certezza. Anche perché il quadro è confuso dal fatto che le partecipazioni appartenenti a Paesi come il Belgio sono considerate collegate a conti di custodia in Cina e sono aumentate.
Con la pubblicazione del prossimo mese delle riserve detenute da Pechino si avranno maggiori indicazioni. Un'ulteriore chiarezza probabilmente ci sarà il 18 giugno, quando il governo degli Stati Uniti pubblicherà i flussi di portafoglio. Insomma, al momento nessuno può dire se e quanto la Cina abbia venduto i Treasury Bond e se le vendite abbiano effettivamente rappresentato un'arma di ritorsione.
Gli osservatori di mercato sono divisi sulla possibilità che il Dragone sia sceso in campo. Per Gustav Helgesson, macro strategist di SEB (Skandinaviska Enskilda Banken) "ci sono diverse potenziali ragioni per l'impennata dei tassi di interesse", ha scritto in una nota. "La speculazione che la Cina stia vendendo titoli di Stato per 'mostrare i muscoli' quando gli Stati Uniti aumentano i dazi è una di queste".
A giudizio di Prashant Newnaha, invece, "se la Cina stesse vendendo, i rendimenti a breve termine dovrebbero essere più alti, ma non lo sono, e quindi ci sono dubbi che sia la Cina a vendere". In realtà, "questo sell-off dei Treasury è principalmente nella parte lunga della curva ed è parte di una più ampia riallocazione degli investitori", ha aggiunto.