Dal 2026 le società con partecipazioni di minoranza potrebbero essere chiamate a versare un’imposta fino al 24% sui dividendi, contro l’attuale onere effettivo di poco superiore all’1%.
È quanto prevede la Manovra 2026 approvata dal governo, che punta a un gettito aggiuntivo di oltre un miliardo di euro l’anno, ma che sta già creando forti tensioni nella maggioranza e nel mondo imprenditoriale. Vediamo tutti i dettagli.
Tassazione dividendi 2026: cosa prevede la nuova norma
L’attuale regime, introdotto nel 2003 e mai modificato, prevede che le società paghino l’imposta sul reddito al 24% solo sul 5% del dividendo ricevuto, garantendo di fatto un’aliquota effettiva dell’1,2%.
La riforma proposta dal governo per la tassazione dei dividendi 2026 cambia radicalmente l’impostazione: le partecipazioni inferiori al 10% non godranno più dell’esenzione quasi totale, e i dividendi percepiti da tali quote saranno tassati interamente al 24%. Le imprese che detengono partecipazioni pari o superiori al 10% continueranno invece a beneficiare dell’attuale regime agevolato.
Chi sarà colpito e chi no
La misura non riguarderà i fondi di investimento né i piccoli risparmiatori, ma avrà un impatto diretto su holding, banche e grandi gruppi industriali che possiedono quote di minoranza in altre società. Secondo gli esperti, la tassazione dei dividendi 2026 potrebbe spingere le imprese a superare la soglia del 10% per mantenere il vantaggio fiscale, o al contrario a dismettere le partecipazioni minori per evitare l’aumento dell’imposta.
Il nuovo regime si applicherà anche ai dividendi provenienti da società estere con sede in Paesi inclusi nella cosiddetta “white list”, ossia gli Stati che rispettano gli standard internazionali di trasparenza fiscale. Secondo la relazione tecnica allegata alla Legge di bilancio, il provvedimento garantirà entrate per 983 milioni di euro nel 2026, in crescita fino a oltre 1 miliardo nel 2027 e 2028.