Stagflazione: perché una vittoria ora sarebbe più difficile | Investire.biz

Stagflazione: perché una vittoria ora sarebbe più difficile

02 mag 2025 - 11:15

La stagflazione è un problema difficile da risolvere. In passato sono state attuate misure che hanno portato alla vittoria. Ma ora sarebbero riproponibili? Scopriamolo

La stagflazione è uno dei nemici più potenti per i policy makers di un Paese che devono prendere decisioni di politica economica e monetaria. Quando si manifesta questo fenomeno, l'economia vive il peggiore degli scenari, perché si trova ad affrontare la stagnazione e l'inflazione allo stesso tempo. In sostanza, non cresce, o cresce poco, o addirittura recede. Questo, in una condizione di normalità, dovrebbe portare alla deflazione, ovvero alla diminuzione dei prezzi a causa del calo della domanda. Invece si trova a convivere con l'inflazione.
 
Come è possibile? Il motivo è che il costo della vita può aumentare in due modi: o se vi è una crescita della domanda, segno che l'economia si sta sviluppando, o se si verificano strozzature dal lato dell'offerta, per effetto di eventi anomali. Il problema è che l'inflazione distrugge il potere d'acquisto delle persone e quindi i consumi e i risparmi. Se l'economia è surriscaldata, le Banche centrali possono attuare delle misure di restrizione monetaria per raffreddarla attraverso il calo della domanda che porta alla riduzione dei prezzi. Ma se invece l'economia è depressa, a quel punto diventa un problema. 
 
 

Stagflazione: come è stata affrontata in passato

La stagflazione rende molto difficile fare delle scelte. Se si eseguono atti di stimolo monetario e fiscale per risollevare l'economia, si rischia di far salire ancora di più l'inflazione. Qualora si adottino provvedimenti di stretta per abbattere il carovita, il rischio è di deprimere ulteriormente la crescita economica. In pratica, è la classica situazione della coperta corta che rende complicato trovare una soluzione ottimale. Quantomeno in breve tempo e senza grossi sacrifici per i cittadini.
 
Negli anni '70 si è avuto un periodo lungo di stagflazione determinato da due shock petroliferi a distanza di sei anni. Il primo nel 1973 e il secondo nel 1979. Quella situazione ribaltò completamente le politiche keynesiane che fino ad allora dettavano legge nella teoria economica mondiale. John Maynard Keynes affermava che le fluttuazioni economiche potevano essere gestite attraverso la stimolazione della domanda. In realtà, gli shock petroliferi dimostrarono che l'aumento dei costi di produzione e l'inflazione più elevata rendevano meno efficaci le politiche di stimolo keynesiane.
 
La scelta quindi fu quella adottata dall'allora presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, che mise in campo la serie di aumenti dei tassi di interesse più aggressiva che la storia americana ricordi. Al banchiere centrale non furono risparmiate critiche e le azioni della Fed colpirono al cuore l'economia mandandola in recessione per qualche anno. Tuttavia, una volta abbattuta l'inflazione che stava divorando l'economia, la ripresa fu prorompente dando vita a un decennio di crescita e prosperità.
 
 

E oggi?

E se oggi si ripresentasse la stagflazione, come dovrebbe essere affrontata? Soprattutto, le ricette adottate circa 50 anni fa sarebbero valide? Partiamo subito col dire che la stagflazione non è un'ipotesi solo teorica in questo momento, ma uno scenario che potrebbe verificarsi, almeno negli Stati Uniti. I dazi applicati dal presidente USA Donald Trump potrebbero portare a un ritorno dell'inflazione come nel 2022, dopo lo scoppio della guerra Russia-Ucraina che determinò una strozzatura dell'offerta soprattutto di materie prime.
 
Le aziende americane vedranno i costi delle loro importazioni aumentare a causa delle tariffe, che almeno in parte trasferiranno ai consumatori attraverso l'aumento dei prezzi dei loro prodotti. Allo stesso tempo, la guerra commerciale innescata dai dazi potrebbe far diminuire la domanda estera di beni americani esportati, il che si rifletterebbe sulla crescita economica del Paese.
 
Si discute molto oggi circa gli strumenti che la Fed potrebbe mettere in azione in caso di stagflazione. La soluzione è tutt'altro che semplice e la titubanza della Banca centrale in tema di tassi di interesse ne è una dimostrazione. Per un anno e mezzo a partire da marzo 2022, l'istituto monetario guidato da Jerome Powell ha effettuato una sfilza di aumenti dei tassi di interesse per combattere l'inflazione più aggressiva degli ultimi 40 anni. Ma poteva farlo perché l'economia statunitense era in salute.
 
Se la guerra commerciale dovesse affondare l'economia, alzare o tenere alti i tassi di interesse è un problema serio se i dazi nel frattempo fanno salire i prezzi. Quindi, ciò che è stato fatto da Greenspan difficilmente può essere riproposto da Powell. Non comunque nella stessa misura.
 
Vale però anche il discorso opposto. Molti, in primis il presidente Trump, già da adesso spingono affinché la Fed acceleri con l'abbassamento del costo del denaro. Ma con le tariffe che minacciano di far crescere il carovita, la preoccupazione è che un accomodamento si traduca in un azzardo. Powell, in definitiva, si trova tra l'incudine e il martello. E questo rende la vittoria sulla stagflazione più difficile che in passato.
 
 
 
 
 

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