Da quando
Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025 sono passati 100 giorni. Arrivato tra l'entusiasmo generale sulla convinzione che potesse trasformare l'America e avviare l'età dell'oro, come del resto aveva promesso, il presidente degli Stati Uniti ha però generato qualche malumore di troppo. Al punto che
il suo consenso tra gli americani è calato drasticamente.
L'aggressività del tycoon sul fronte dei dazi, che lo ha portato a inimicarsi praticamente i Paesi di tutto il mondo, non ha giovato finora. I mercati finanziari sono stati travolti da una tempesta che ha riportato alla mente le grandi crisi finanziarie del passato e gli investitori temono che l'economia americana sia destinata a scivolare in una pericolosa recessione. Altro che età dell'oro. Ultimamente Trump forse ha realizzato di aver forzato troppo la mano e cerca di riequilibrare una situazione andata fuori controllo.
Ad ogni modo, dopo oltre tre mesi può essere fatto un bilancio tra le varie attività per vedere chi ha vinto e chi ha perso. Diamo un'occhiata.
Azioni americane
Le azioni USA sono le grandi sconfitte. L'indice
S&P 500 è crollato circa dell'8% nei primi 100 giorni di Trump. Si tratta della peggiore performance dall'insediamento di un presidente nello stesso periodo dal 1974, dopo le dimissioni di Richard Nixon. L'aspetto curioso è che a seguito delle elezioni del 5 novembre, Wall Street aveva registrato uno slancio straordinario, al punto che si parlava di effetto Trump.
Gli investitori erano entusiasti per i piani del leader repubblicano di attuare una politica di deregolamentazione e di detassazione delle società. I dazi hanno rovinato tutto. Il mercato è stato innervosito anche dalle espulsioni dei lavoratori privi di documenti e dai licenziamenti in massa i dipendenti federali.
Titoli di Stato USA
Erano anni che non si vedeva un'incertezza così diffusa nel mercato dei titoli di Stato americani. Le politiche di Trump sui dazi non avevano fatto il gioco dei Treasury già dall'inizio, in quanto gli investitori erano preoccupati per l'inflazione e i tassi di interesse più alti che ne sarebbero seguiti. Inoltre, l'espansività fiscale del governo avrebbe potuto allargare il deficit e costringere il Tesoro ad aumentare le emissioni creando un deficit di offerta e un calo dei prezzi.
Tuttavia, a un certo punto, con gli investitori in preda al panico, è emersa la funzione di beni rifugio dei Treasury e i rendimenti sono scivolati sotto il 4%. La festa però non è durata molto, perché poi è subentrata una terza fase: quella in cui gli investitori hanno venduto tutti gli asset targati USA. Risultato? I rendimenti sono balzati fino al 4,59%. In questo caos ha pesato molto anche l'attacco che Trump ha riservato al presidente della Federal Reserve Jerome Powell, che l'ha definito "un grande perdente", salvo poi ritirare tutto in seguito alle turbolenze dei mercati.
Dollaro USA
Il dollaro USA esce con le ossa rotte dai primi 100 giorni di Trump alla Casa Bianca. Bisogna ricorrere ai primi anni '70, quando la moneta americana poté fluttuare liberamente a seguito della fine degli accordi di Bretton Woods, per trovare una debolezza così spiccata del biglietto verde. Si è trattato di una inversione di tendenza anomala, dato che negli ultimi decenni, nei primi 100 giorni in carica del presidente, il dollaro ha avuto una crescita media poco sotto il punto percentuale.
In teoria, con i dazi che generano inflazione e tassi più alti, il dollaro dovrebbe apprezzarsi. E inoltre dovrebbe fungere da bene rifugio per via delle tensioni di natura economica e geopolitica. Così non è stato, perché è valso lo stesso discorso dei Treasury. Lo spauracchio della recessione allontana gli investitori dagli asset a stelle e strisce.
Petrolio
Il petrolio è un altro grande perdente. La guerra dei dazi, alimentando le aspettative di recessione, ha depresso le quotazioni del greggio, strettamente collegate all'andamento dell'economia. Se quest'ultima va bene, la domanda di petrolio cresce, perché tutte le attività si mettono in moto. Se al contrario l'economia va in depressione, il greggio è meno richiesto per alimentare le attività produttive. Inoltre, i Paesi dell'OPEC+ hanno elaborato i piani per aumentare l'offerta dopo un lungo periodo di strette, in modo da non perdere quote di mercato. Da quando Trump è entrato nello Studio Ovale il 20 gennaio, l'oro nero ha perso oltre il 20% del suo valore sia nel caso del Brent che del West Texas Intermediate.
Criptovalute
Durante la campagna elettorale, Trump aveva detto di voler fare dell'America il
centro mondiale delle criptovalute e ha dato seguito alle sue promesse mettendo al vertice della
Securities and Exchange Commission il personaggio crypto-friendly per eccellenza:
Paul Atkins. Le quotazioni degli asset digitali hanno messo il turbo, con il
Bitcoin salito a un massimo storico di 109.220 dollari.
Le turbolenze degli ultimi mesi però hanno provocato un ritracciamento, ma nel complesso le criptovalute sono rimaste abbastanza resilienti. Le quotazioni del Bitcoin ad esempio sono più alte di circa il 30% rispetto ai livelli pre-elettorali. Gli investitori però si aspettano che Trump mantenga due grandi promesse: la creazione di una riserva strategica governativa e il mining negli Stati Uniti di tutte le monete rimaste da estrarre per quanto riguarda il Bitcoin.
Oro
Il trionfatore del periodo trumpiano è senza ombra di dubbio l'oro, che ha macinato record su record. Questo mese, il metallo giallo ha raggiunto il top a 3.509 dollari l'oncia, prima di indietreggiare. Da quando Trump ha vinto le elezioni, la materia prima ha inanellato ben 28 massimi storici.
Con il mondo intero in subbuglio, gli investitori hanno trovato nell'oro il porto più sicuro dove rifugiarsi. Le Banche centrali poi hanno accumulato riserve sostituendo il metallo al dollaro americano. Inoltre, l'avvio del ciclo dei tagli ai tassi di interesse da parte degli istituti monetari favorisce un asset non redditizio come l'oro, la cui detenzione fa scendere il costo opportunità. Anche il calo del dollaro USA fa il gioco del metallo, perché gli operatori non americani spendono meno per acquistare i lingotti, essendo questi quotati in dollari.